Cosa succede dopo lo strike in Iran? La simulazione del Pentagono conferma la prudenza di Obama

Cosa succede se Israele attacca le centrali nucleari iraniane? Quale sarebbe lo scenario il giorno successivo allo strike invocato da Gerusalemme con o senza la “luce verde” dell’Amministrazione Obama? Le risposte sono sostanzialmente due: un’apocalisse incontrollabile che risveglia gli attori filoiraniani dormienti con conseguenze globali, oppure una reazione di stampo terroristico contro obiettivi israeliani e occidentali, scenario tragico e gestibile con il quale del resto Israele convive a prescindere dall’attacco. Poi ci sono tutte le sfumature intermedie.

L’Amministrazione americana ha fatto capire di non essere disposta ad appoggiare l’intervento militare paventato dal governo di Benjamin Netanyahu; lo ha fatto con tutte le cautele e i distinguo che si convengono a una dialettica fra alleati alle prese con un regime canagliesco che ambisce a un arsenale nucleare, ha messo il messaggio fra le righe delle rassicurazioni di principio sull’alleanza inossidabile con Israele, ne ha fatto un punto nell’agenda del dialogo all’incrocio fra scenari alternativi: le sanzioni economiche, il lavorio diplomatico sottotraccia, le pressioni per far desistere quello che nemmeno gli esperti riescono a rappresentare univocamente come un regime apocalittico o razionale.

Ieri, nel giorno di Nowruz, il capodanno persiano, Obama ha fatto un appello al popolo iraniano: “Non c’è nessuna ragione per cui dobbiamo essere divisi”. Questo per quanto riguarda il livello politico. Da un punto di vista militare la notizia l’ha data il New York Times, che non disdegna di dare risalto a certi messaggi che l’Amministrazione vuole pubblicare. L’articolo che Mark Mazzetti e Thom Shanker – superstar della sicurezza nazionale – hanno firmato ieri racconta dell’ Internal Look ordinato dal Pentagono.

La dicitura nasconde una pratica all’incrocio fra l’esercitazione e la simulazione per prevedere le conseguenze di un’operazione, in questo caso lo strike . I risultati della simulazione, condotta dal capo del CentCom, il generale James Mattis, sono stati spiegati a Mazzetti e Shanker da ufficiali anonimi del Pentagono, sintetizzati così: “Uno strike israeliano avrebbe conseguenze devastanti per l’area e per i militari americani di stanza lì”.

L’Internal Look mostra che un raid aereo contro le centrali iraniane potrebbe portare a un contrattacco convenzionale alla flotta militare americana nel Golfo, evento che costringerebbe gli Stati Uniti a una risposta militare attiva. Lo scenario disegnato dai generali risponde al criterio aristotelico della verosimiglianza, e tuttavia al Pentagono non ritengono che si tratti dell’unico scenario possibile.

Più della catena consequenziale, l’articolo del New York Times veicola l’idea che una parte della gerarchia militare giudichi insostenibile e controproducente un’azione israeliana: la conclusione alla quale Obama è arrivato in termini politici, i suoi generali la condividono per motivazioni di ordine operativo. Gli apparati di intelligence israeliano e americano, ribadisce il New York Times, concordano sul fatto che Teheran abbia fatto passi significativi sulla strada che porta alla Bomba, ma hanno idee diverse sulla tempistica.

Per Gerusalemme la minaccia è imminente e il tempo a disposizione per un intervento efficace sta per scadere; gli americani invece diluiscono il processo in una timeline più ampia. Nel ramo civile del team della sicurezza nazionale di Obama la linea prevalente è quella di prendere tempo, di lasciare che le sanzioni facciano effetto e nel frattempo costringere il regime, isolato all’esterno e politicamente spaccato all’interno, a sedersi al tavolo diplomatico.

La simulazione condotta da Mattis e rivelata dal New York Times corrobora i sentimenti di prudenza già in circolo a Washington, e offre nuovo materiale a chi è preoccupato che le conseguenze di un intervento israeliano finiscano per coinvolgere direttamente l’America in un’operazione che i suoi leader hanno largamente sconsigliato con argomenti politici e ragionamenti sulla stabilità. E adesso si aggiungono le considerazioni di carattere militare.

Mattia Ferraresi, 21 marzo 2012

Fonte: Il Foglio

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