Quando Mario Monti l’ha svegliato alle 3 di notte per annunciargli che sarebbe stato il nuovo ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola era proprio in Afghanistan, come presidente del Comitato militare Nato. Per l’Alleanza, per le forze armate italiane, quella missione nel cuore dell’Asia rimane la sfida più difficile, pericolosa, anche sanguinosa, come gli attentati di ieri ricordano ancora una volta.

Ministro, di fronte a questi colpi continui dei terroristi la Nato sembra impotente. Qual è la vostra strategia? «La strategia della comunità internazionale rimane quella che è stata appena confermata alla Conferenza di Bonn. Karzai a metà novembre ha dichiarato che la transizione va avanti, che il passaggio della sicurezza dalle forze Isaf a quelle afgane prosegue. Con questo secondo passaggio, esercito e polizia afgani controlleranno territori in cui vive il 50 per cento della popolazione, che è un’area importante del paese».

Credete di riuscire ad andare avanti, nonostante i colpi sempre più forti dei Taliban? «Continueranno ad esserci attentati, sussulti anche molto forti, ma da qui al 2014 io credo che Isaf riuscirà a realizzare le condizioni per avviare poi il ritiro delle forze combattenti della Nato. La conferenza di Bonn è stata una conferma, l’impegno in Afghanistan continuerà oltre il 2014 in forme diverse che dovremo studiare. Non si ricostruisce un paese come l’Afghanistan in 5 o 10 anni… ».

Ma siamo già in Afghanistan da 10 anni… «Forse questo è vero d a un punto di vista cronologico, ma da un punto di vista militare sostanziale noi siamo presenti in maniera seria e concreta, con forze militari adeguate, dal 2009. C’è stato un grosso buco, dal 2001 al 2009 la comunità internazionale ha avuto una presenza non all’altezza della situazione e una strategia non adeguata. Da oggi al 2014 il focus principale è l’assistenza allo sviluppo delle forze di sicurezza afgane: è stato stabilito che fra esercito e polizia dovranno arrivare a 352 mila uomini, che potrebbero crescere fino a 378 a seconda delle condizioni che si verificheranno. Dovremmo avere questi numeri fra un anno, nell’autunno 2012. Ma una cosa sono i numeri, un’altra sono il livello di qualità, di capacità di queste forze di assicurare per davvero la sicurezza del paese. E questo si avrà soltanto se riusciremo ad indebolire ancora di più l’insorgenza».

Dal 2014 le forze Isaf, e quindi anche quelle italiane, saranno capaci di ritirarsi del tutto dal paese? «Una necessità di addestramento, anche di “mentoring” sarà ancora necessaria, ma non sarà una forza da combattimento. Ci ritireremo».

Mediterraneo: da gennaio l’Italia torna al comando di Unifil, fra Libano e Israele. Sembrava una missione che l’Italia si preparava a lasciare. «Se le Nazioni Unite hanno chiesto all’Italia di tornare ad assumere il comando militare della missione significa che i paesi dell’area hanno espresso il loro consenso. Il ruolo del nostro paese è determinante, e soprattutto è stato riconosciuto alle nostre forze armate la capacità di gestire la missione con equilibrio. L’amicizia e l’equilibrio dell’Italia verso israeliani e arabi possono essere rafforzati. La vera variabile sarà l’evoluzione della situazione in Siria: il paese ha un rapporto speciale con alcune componenti della vita politica libanese, quello che succede in Siria si ripercuoterà direttamente sul Libano e quindi su Unifil. Noi puntiamo ad una evoluzione interna del quadro politico siriano, perché non è certo pensabile e neppure auspicabile un intervento dall’esterno».

Ci saranno altri tagli al bilancio della Difesa? «La manovra presentata dal presidente Monti è importante, va a sommarsi a quelle che nei mesi scorsi che hanno già agito su tutti i ministeri. Questo governo ha chiaro che non è possibile fare nuovi tagli agli attuali bilanci. Ma noi per il futuro dovremo fare una manovra sulla Difesa che metta in sintonia risorse e struttura, significa rivedere la nostra organizzazione: taglieremo strutture e uomini, è ineludibile. Prevedibilmente dovremo rivedere i grandi programmi di investimento, che per ora non significa necessariamente tagliare, ma rivedere e verificare».

Ma se tagliate le risorse sarete anche costretti a limitare il vostro spazio d’azione, dovrete concentrarvi ad esempio nel Mediterraneo allargato e in Nord Africa? «II paese deve riconoscere ai ministri della Difesa che si sono avvicendati, a cominciare dal più grande di tutti, Beniamino Andreatta, di aver seguito una linea di modernizzazione che ha dato risultati. Dovremo continuare a investire magari in misura più ridotta, ma dobbiamo farlo mantenendo lo sguardo aperto sul mondo. Come ha detto il ministro degli Esteri Giulio Terzi, “l’Italia è una realtà globale con interessi globali”, e questo profilo potrebbe portare le forze armate a intervenire in teatri non tradizionali e non prevedibili La quantità, la tipologia possono essere ridotti, ma non dobbiamo perdere la capacità di visione globale, sul mondo».

Vincenzo Nigro, 7 dicembre 2011

Fonte: la Repubblica

 

 

 

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