di Andrea Santarossa

 

“Fu una barbarie basata su un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri connotati di una pulizia etnica”(Giorgio Napolitano)

La base di 67 chilometri è attaccata alle radici del Carso triestino. A nord e a est è difesa dalla bianca cerniera delle Alpi Giulie e dalle creste dei monti Tricorno, Nevoso e Maggiore. Si allunga per 48 chilometri, si restringe fino ad immergere il vertice nel Quarnero. E’ fasciata da una costa di 500 chilometri, frastagliata da porticciuoli confidenziali e da baie sabbiose a mezza luna, circondate da rocce fantasiose che catturano e difendono il tepore.A sentinella delle cittadine costiere, ingioiellate di logge, di bifore e di campanili veneziani, ci sono molte piccole isole che nelle pinete nascondono ville e monasteri. Verso Fiume d’Italia, l’Istria si apre con un ventaglio di piante esotiche. In certi tratti, sotto il mare, sgorgano numerose polle d’acqua tiepida a 10 gradi. La legge agraria “Julia” del 49 d.C. aveva assegnato molti terreni costieri ai fanti, ai centurioni, ai cavalieri romani, ai veterani delle guerre di Augusto. I geografi hanno scelto la parola Carso per indicare un altipiano di petraia corrosa, che si presenta come tante schiene taglienti di antichi dinosauri pietrificati.

Durante e alla fine dell’ultima Guerra Mondiale, i soldati si sono inseguiti rabbiosamente. Dodici mila, vivi e morti, sono stati buttati, come rifiuti nelle voragini. Centinaia di profughi, braccati dalle mitragliatrici, si sono mimetizzati con le pietre e i cespugli. Molti sono rimasti appesi al filo spinato. L’alito freddo e violento della bora, l’odio e l’eroismo degli uomini hanno graffiato, inciso storie sfolgoranti di colori e di tragedie, di preghiere e di maledizioni. Poeti come Benco, Svevo e Slataper hanno celebrato l’Istria come un altare sacro e maledetto sotto un velo di fiori e di ricordi.

L’Istria ha costituito durante la storia una frontiera difficile e tormentata tra la civiltà latino-veneziana e quella slava. Il nome  Istria deriva da “Histrum”, un affluente del Danubio che scorreva attraverso la penisola. Agli albori della Storia era popolata da veneti del nord, da liburni lungo la costa, da istri del sud. Ai tempi dell’ impero romano e per secoli, l’Istria visse nella “Pax Romana”.
Fondata Aquileia (Forum Julii), i romani inviarono in Istria 15 mila coloni e fondarono le colonie di Trieste (Tergeste) e di Pola(Pietas Julia) dal nome della figlia di Augusto), i municipi di Parenzo (Parentium), i “Vici”, cioè i villaggi di Fasana (Fasanum) e di Nesazio (Nesathium), di Orsera (Ursaria), di Rovigno (Rubinium), di Umago (Humagum).

La grande via Flavia collegava Trieste, Pola, Fiume (Tarsaticum). Nel 27 d.C. Augusto concesse loro la cittadinanza romana. Il 13 gennaio dello stesso anno il Senato divise l’Italia in undici Regioni e creò la “Decima Regio Venetia et Histria” che si estendeva dall’Oglio al’ Arsa e dalle Alpi al Po. Comprendeva 51 mila chilometri quadrati. Un’ iscrizione augustea dice: “Haec Est Italia Diis Sacra” : questa è l’Italia sacra agli dei (si parla già di Italia non solo di Roma). La provincia diede a Roma guerrieri, tribuni, consoli, senatori e ammiragli e Roma lasciò le nobilissime orme della sua arte.

Tutti conoscono ciò che accadde nel prosieguo della Storia, con l’avvento dell’Impero d’Oriente. Gli slavi avevano tentato invano di insediarsi in Istria nel 599 a seguito degli Avari, nel 602 a seguito dei Longobardi e nel 611 da soli. In piccolo gruppi apparvero nei secoli IX e X  ma, come scrisse il Douroselle essi avevano “il carattere di incursioni e pirateria”. Egli aggiunge: “La lotta per la conquista della regione giuliana si riassunse storicamente tra romani e germani e, più tardi, tra italiani e austriaci. Ciò mette in luce uno dei fatti fondamentali di questa storia: mai, o quasi, gli slavi del sud, croati o sloveni, hanno preso parte direttamente in questo conflitto di sovranità e ciò è vero sino al 1918. Il regno croato ha potuto soltanto sfiorare la regione giuliana nei secoli X e XI”.

Il leone alato è stato il simbolo della presenza veneziana. Il primo apparve nel 1250 su una vecchia torre dell’isola di Veglia. Da allora lo troviamo sulla facciata delle chiese, dei comuni, sulle porte d’ingresso, sulle vere dei pozzi, con il vangelo chiuso, simbolo di guerra, o con il vangelo aperto, simbolo di pace. Quasi sempre con la scritta: “Pax tibi Marce, Evangelista meus”.

Per tornare ai tempi nostri non si può far a meno di evidenziare che durante la dominazione austriaca delle terre istriane e dalmate non si verificarono esodi di massa come poi avvenne con Tito. Nel 1945-47, il 90% degli italiani prese la via dell’esilio Durante la prima Guerra Mondiale ben 2.107 giuliani, dei quali 1.030 ufficiali passarono clandestinamente la frontiera e si arruolarono nell’ esercito italiano, rischiando la forca. Uno spirito di italianità che trovò conferma nel primato dei caduti giuliani nel corso dell’ultima Guerra con 25.000 morti su un totale di 444.523. La Venezia Giulia ebbe 30 caduti ogni mille abitanti. La seguì il Friuli con 16 morti ogni mille. La Venezia Giulia con Trieste ha avuto 26 medaglie d’oro al Valor Militare.

Il ministro Sforza, nel secondo dopo guerra, dichiarò in parlamento che dal 1928 al 1938 l’Italia aveva investito 430 milioni di dollari per spese speciali nella Venezia Giulia: In particolare vennero costruite 450 chilometri di strade e se ne sistemarono altri 4.034. Si costruirono 200 chilometri di ferrovia, 4 ponti, 1.065 case, 363 edifici pubblici, l’acquedotto istriano lungo 260 chilometri, 5 dighe marittime e altre portuali, 1.800 chilometri di elettrodotti, 6 centrali elettriche, 996 opere di bonifica, 14 compressori, il porto franco di Fiume e di Zara, il villaggio dell’ Arsa per 6.000 minatori e potenziò la raffineria di Fiume.

L’Italia dal punto di vista della civiltà e della cultura è la somma e la reciproca influenza fra le tradizioni, le culture, le civiltà delle sue molteplici e così varie regioni, delle sue “cento città”. Tessere insostituibili e indimenticabili sono anche quelle portate dall’Istria e dalla Dalmazia.
L’Istria e la Dalmazia sono un immenso scrigno che custodisce l’essenza della nostra civiltà italiana: i castellieri degli antichi illirici, le pietre romane, i mosaici di Bisanzio, gli affreschi paleocristiani, le calli e i campielli veneziani.

Il 16 aprile 1941 L’Italia dichiara guerra alla Jugoslavia e dopo 5 giorni le truppe italiane entrano a Lubiana ed occupano tutta la Dalmazia. Dopo soli 11 giorni la Jugoslavia capitola e chiede l’armistizio. L’Italia istituisce il Regno di Croazia e il Governatorato della Dalmazia. L’8 settembre 1943 l’Italia chiede l’armistizio agli alleati. I partigiani slavi dilagano disordinatamente nella Venezia Giulia. Trieste, Pola e Fiume rimangono, comunque, in mano ai tedeschi. Questa prima occupazione slava dura 35 giorni. Infatti, i tedeschi, appoggiati da “gruppi spontanei” italiani riprendono il dominio del territorio giuliano. Il 13 ottobre , gli ultimi gruppi slavi vengono rigettati oltre il vecchio confine e i tedeschi si inventano a Trieste l “Operationszone Adriatisches Kustenland ” (Zona di Operazioni del Litorale Adriatico) sotto il comando di un “Oberster Kommisar” (Supremo Commissario).

Una seconda occupazione avviene dal 1° maggio al 15 giugno del 1945 e interessa tutta la Venezia Giulia, da Gorizia a Zara. Quando alla fne di aprile i tedeschi si ritirano, gli slavi occupano tutta l’Istria, comprese Trieste, Gorizia, Pola e Fiume. Zara è già in mani slave dal 30 ottobre del 1944. Questa seconda occupazione, si diceva, dura 45 giorni. Nel periodo tra il 12 e il 15 giugno 1945 gli jugoslavi, per ordine alleato, abbandonano i centri urbani di Gorizia, Trieste e Pola che passano alle dirette dipendenze dell’ AMG (Governo Militare Alleato). Tutto il rimanente territorio giuliano, comprese le città di Fiume e Zara, rimane definitivamente alla Jugoslavia.

Una terza occupazione ha inizio il 15 settembre 1947. A seguito dell’entrata in vigore del trattato di pace gli alleati abbandonano la città di Pola che viene immediatamente occupata dagli slavi. In attesa della costituzione del Territorio Libero di Trieste, il Trattato di pace affida la Zona A (Trieste) all’amministrazione provvisoria alleata e la Zona B (Capodistria, Pirano, Umago, Buie, Cittanova) all’ammibistrazione Jugoslava. In base al “Memorandum” di Londra del 5 ottobre 1954 gli alleati si ritirano da Trieste che viene restituita alla Madre Patria, mentre la Jugoslavia continua ad amministrare “provvisoriamente” la Zona B. fino a quando, nel 1975, il governo italiano cede anche la Zona B.

Le tre occupazioni si inquadrano in un groviglio di violenze belliche e politiche che trasformano la penisola istriana in un teatro di disumane guerriglie nelle quali si scontrano contemporaneamente sei fazioni armate. Qui, infatti, la guerra durerà più a lungo che nel resto dell’Italia. La Venezia Giulia registrerà il maggior numero di morti.

A seguito dell’armistizio dell’ 8 settembre 1943, i tedeschi entrano in Udine e Trieste dove, un reggimento di 500 soldati obbliga alla resa un Corpo d’Armata italiano. L’11 entrano a Pola e il13 a Fiume. E’ il via ad una serie di atrocità ed atti di terrore perpetrati dalle diverse forze in campo.
Circa 2.000 giuliano dalmati, inquadrati in 5 reggimenti della Milizia Difesa Territoriale, nei battaglioni “Zara” e “Rismondo”, nel battaglione bersagleri volontari “Mussolini” e nella Decima Flottiglia MAS, combattono per la difesa ad oltranza dell’italianità della loro terra. In difesa dell’italianità dell’Istria lottano contro i comunisti slavi anche i volontari giuliani del 2° reggimento M.D.T. “Istria” al comando di Libero Sauro, figlio di Nazario, ed i partigiani giuliani al comando di Dino Leonardo Benussi. Una feroce guerra che culmina con l’esodo di 350.000 italiani.

Con la tragedia giuliana compare un nuovo nome nel dizionario criminale “foiba” e il verbo “infoibare”. Le foibe sono voragini rocciose, create dall’erosione violenta di molti corsi d’acqua. Raggiungono i 200 metri di profondità e si perdono in tanti cunicoli nelle viscere della terra. Le pareti, viscide, nere, tormentate da sporgenze e da caverne, terminano su un fondo di melma e detriti. Le truppe slave, incattivite dall’attacco di quelle italiane che erano arrivate fino a Lubiana, provocate dagli incendi e rappresaglie italo – tedesche, logorate e incarognite dalla fame, dilagano sull’Istria con una terribile sete di vendetta.

Un giornale slavo, il “Gorsk List”, scrive in data 16 agosto 1944: “irroreremo queste terre con il nostro sangue, ma porteremo i confini all’Isonzo”. I partigiani di Tito videro nella popolazione giuliana, non solo il nemico etnico secolare, ma anche i rappresentanti di un altro stato sociale, dello stato dei possidenti che venivano liquidati o radicalmente espropriati. Ora si conosce molto dell’orrore delle foibe ma non si deve dimenticare che Trieste e l’Istria hanno pagato un prezzo disumano durante l’occupazione tedesca e l’abbandono agli slavi dopo l’8 settembre del 1943.

Migliaia di nostri connazionali sono stati gettati nelle foibe dai titini con un colpo alla nuca e talvolta precipitandoli senza neppure quello. Un cumulo di rancori e odii, di vendette e rappresaglie su “fascisti” che nella maggior parte dei casi erano soltanto italiani, ai quali far finalmente pagare la colpa della loro nazionalità. Molti giovani della Repubblica Sociale Italiana si sono sacrificati per difendere fino all’ultimo l’italianità delle terre di confine, ma inutilmente.

Dobbiamo avere ancora la forza di inorridire per questo nostro olocausto, per i delitti di cui si macchiarono senza giustificato motivo i partigiani slavi: E’ vero che torturavano. E’ vero che fucilavano senza ragione. Il supplizio di legare i prigionieri per le braccia ai pali e tenerli così sospesi per molte ore era una normalità. Le grida di dolore facevano impazzire gli altri italiani prigionieri, costretti ad assistere ai supplizi.

Non parleremo di cifre, ben altri autorevoli testimoni lo hanno fatto, ma ricordiamo, per tutti, Norma Cossetto. Norma era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenica di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l’Università di Padova. In quel periodo era solita girare in bicicletta per i Comuni dell’Istria allo scopo di preparare materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo “L’Istria rossa”(terra rossa per la bauxite).

Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono anche nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma della Finanza  di Visignano assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte, con un camion, nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio; fissata ad un tavolo con alcune corde, è stata violentata da 17 aguzzini, ubriachi ed esaltati e quindi gettata, nuda, nella foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri di italiani d’Istria. Una signora di Antignana, che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì , distintamente, invocare la mamma e chiedere pietà.

Suo padre era conosciuto e stimato per aver dedicato la sua vita allo sviluppo di quei paesi. Proprietario terriero, era stato podestà per tanti anni, commissario governativo della Case Rurali per la Provincia. Aveva dato impulso alla banda musicale ed aveva aiutato molti poveri della zona. Si trovava in quei giorni a Trieste. Informato dell’arresto della figlia, ma ignorandone la fine, si precipitò a S. Domenica  con un parente invalido di guerra, Mario Bellini, giovane tenente, sposato da neppure un anno e con la moglie in attesa di un figlio. All’ ingresso del paese i partigiani lo rassicurarono che gli avrebbero consegnato la figlia.

Verso sera lo trascinarono in un agguato: una mitragliata. Il Bellini rimase ucciso mentre il Cossetto rimase ferito. Si avvicinò allora un partigiano a dargli l’ultima coltellata. Si venne a sapere che proprio questo criminale, alcuni mesi prima, era stato salvato da sicura morte proprio dal Cossetto, il quale, essendo l’unico in zona a possedere un’automobile, lo aveva trasportato d’urgenza, di notte, all’ospedale di Pola. Le due vittime furono poi, a loro volta, gettate in foiba e ritrovate in seguito dal leggendario maresciallo dei pompieri Harzarich come anche le spoglie martoriate di Norma.
L’Università di Padova, subito dopo la guerra, concesse a Norma la laurea Honoris Causa.

Non è possibile giustificare tutto questo male fatto alla povera gente giuliana con l’attenuante di un comportamento feroce da parte dei militari italiani durante l’occupazione della Jugoslavia. Quando si è continuamente attaccati e uccisi da partigiani sanguinari è ovvio che i rastrellamenti e la “caccia ai banditi” non vengono portati avanti  dai boy scouts, ma da soldati.
Crediamo si sia semplicemente trattato di un odio atavico contro gli italiani ” padri, signori e artisti ” della “Decima Regio Venetia et Histria”.

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