di Carmelo Burgio

Per carità, hanno scritto di lui grandi penne, e il mio è solo un omaggio piccolo piccolo, forse – per questo – sicuramente sentito, al di là di qualche ipocrisia e dei sensi di colpa di qualcuno del suo ambiente.

Lo conobbi a Valona, nel 1997, in occasione della missione “Alba”, condotta per riportare l’ordine e consentire il pacifico svolgimento di democratiche elezioni. Eravamo appena giunti, e in oltre 100 disponevamo di due rubinetti in giardino, che erogavano acqua 3 volte al giorno per 2 ore. Preferisco riportare, di seguito, ciò che scrissi sul mio “I Ragazzi del Tuscania”, edito nel 2021 da Itinera Progetti di Bassano del Grappa.

Mentre attendevamo di partire, sui giornali italiani apparve qualche articolo scritto da cronisti nazionali che si trovavano a Valona e lamentavano di essere costantemente minacciati e infastiditi dai locali banditi, che in qualche occasione avevano sparacchiato contro i muri esterni dell’edificio ove erano sistemati. Alloggiavano all’hotel “Bologna”, vicino a quella che era la nostra base. Pensai che non potessimo lasciarli a loro stessi: la stampa ci avrebbe fatto a pezzi se un suo esponente fosse stato impallinato mentre riposava a poche decine di metri dalla base italiana. …..

Il buon Giglio mi disse che nel mandato non fosse compreso questo tipo di attività, ma col buon senso trovammo una soluzione. Uscire e pattugliare l’area circostante alla base era connesso alla missione, sicuramente. Se poi mi fossi fermato a prendere un caffè, non avrei fatto nulla di male: era pur sempre un modo per acquisire notizie attraverso contatti con la gente. A questo punto bastava mi autorizzasse a pattugliare la città di notte e a prendermi un caffè, e poi il resto sarebbe venuto da solo, perché la tradizionale bevanda l’avrei consumata al “Bologna”, magari rimanendoci un po’ più del normale per lanciare il dovuto segnale ai malviventi locali. Io non avrei fornito alcuna protezione ufficiale ai giornalisti, anche se essi avrebbero indirettamente fruito della nostra azione.

Iniziammo così tutte le sere ad andare al “Bologna”. Conoscemmo giornalisti di vaglia, come Franco di Mare, Ennio Remondino, Giovanna Botteri e altri. Loro – quando noi ci si presentava – cenavano e ci volevano ospitare a tavola, ma rifiutammo sempre. Al massimo accettavo un bicchier d’acqua: che non si dicesse che uscivamo la sera per sottrarci alla cura di razioni “K” e rimpinzarci. Unico lusso, lo ammetto, poter fruire di un vero bagno per darsi una rinfrescata, e a Franco di Mare ne sarò per sempre grato.

In seguito, oltre a ulteriori incontri in teatro operativo, mi volle suo ospite a “Uno Mattina” dopo la cattura nel casertano di un grande latitante: fu sempre garbato, leale, discreto e gentile.

Con lui se ne va davvero un pezzo di storia di un giornalismo di guerra. Per noi era garanzia d’obbiettività, incapace di tendere imboscate. Come altri, sia chiaro.

Ma di lui mi resterà sempre nella memoria quel gesto muto d’allungarmi le chiavi della sua camera, quel suo aver compreso – magari dall’olezzo di sudore e sporco – che una doccia ogni tanto la potessi preferire a un piatto fumante di spaghetti.

 

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