Non ho fatto nulla per tenere a bada i media, ho soltanto cercato di gestirli e ho lavorato per ottenere il loro sostegno, ma non troverete mai una legge o un’azione durante i miei dieci anni di governo dettate da un editore o pensate per favorire un editore, men che meno da Rupert Murdoch. Tony Blair, ex premier laburista britannico, ieri ha testimoniato davanti alla commissione Levenson che indaga sullo scandalo delle intercettazioni illegali all’interno del gruppo Murdoch. Abbronzato, spigliato, a suo agio, ha spiegato che sì, i media in Inghilterra hanno un potere straordinario e che sì, avrebbe potuto come premier cercare di contenerlo, quel potere, ma non ha mai trovato il tempo. Con Murdoch non c’è mai stato alcun accordo, anzi ci sono state discussioni sull’Europa, “siamo molto più vicini ora che quando ero premier”, Murdoch “non ha l’identikit di una persona di destra, è antiestablishment e meritocratico”. Di più: “Il mio viaggio in Australia nel 1995 era stato pensato in modo strategico e deliberato” per ottenere il sostegno di Murdoch, ha detto Blair, con quel ghigno sfrontato che non sa togliersi e che fa innervosire tutti.

Non c’è niente di illegale nel volere che i tabloid stiano dalla tua parte, non solo quelli di Murdoch peraltro (purtroppo con il gruppo del Mail le cose non sono andate altrettanto bene per Blair: sua moglie Cherie è stata sotto attacco per anni e Blair li odia), è così che funziona nei mondi democratici: finché il consenso non lo compri, tutto è lecito. Anzi: ingraziarsi il più grande editore del paese è cosa furba e inevitabile (e lo è anche se, come dicono alcuni su Blair, vuoi ributtarti in politica). Anzi: l’attuale premier conservatore, David Cameron, ha fatto bene a incontrare Murdoch ed è stato un peccato che sia stato “lasciato politicamente scoperto” nella gestione dello scandalo. Tra l’altro, va bene riempire i giornali – ha detto Blair – con la storia della dama perfida e rossa che tutto decide e tutto governa, a suon di urlacci e di portaceneri lanciati, ma “chi decide è Rupert Murdoch, non Rebekah Brooks” (alla quale Blair ha inviato un sms di incoraggiamento dopo l’arresto, come Cameron e come probabilmente tutti i politici inglesi).

C’è anche il lato italiano della faccenda: nel copione “potere vs media” non poteva mancare, in effetti. Blair ha ammesso di aver chiesto all’allora premier italiano Romano Prodi – correva l’anno 1998 – la sua opinione sull’eventuale acquisto, da parte di Murdoch, di una fetta di Mediaset. Allora fu uno scandalo, sia qui sia in Inghilterra, Blair ha sempre smentito la chiacchierata, ieri invece ha ammesso che c’era stata una conversazione sul tema, ma secondo l’ex premier inglese fa sempre parte della gestione ordinaria del potere: è normale chiedere alla propria controparte di un altro paese come la pensa sull’assetto mediatico nazionale.
Blair ha ricordato, con un sospiro di sollievo, che nel 2006 non sapeva usare i cellulari, non mandava messaggi e quindi buona parte dei suoi legami e chiacchiericci non ha lasciato traccia. La traccia semmai l’ha lasciata la guerra in Iraq che ha marchiato la sua premiership: ancora ieri, nel bel mezzo della testimonianza, c’è stata un’irruzione, un giovane gli ha gridato “criminale di guerra” e gli ha dato di prezzolato di JPMorgan, a suon di milioni. I membri della commissione che avrebbero voluto mangiarsi vivo Blair, anche per la questione irachena, si sono così trovati a doversi scusare più volte per l’increscioso episodio. Ma forse è andata meglio così, altrimenti toccava dire che in fondo l’ex premier non ha fatto nulla di male. Anzi: se proprio si deve parlare delle pressioni che i politici devono subire da parte dei media – ha detto Blair en passant – sappiatelo: i più rompicoglioni sono quelli della Bbc.

Paola Peduzzi, 29 maggio 2012

Fonte: Il Foglio

 

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