Presentato alla Biblioteca di Stato della Repubblica di San Marino il libro “Senza Pace: Da Nassiriyah a Kabul storie in prima linea” di Andrea Angeli. L’autore è giornalista, addetto stampa e peacekeeper presso le Nazioni Unite. In 25 anni di missioni ha lavorato in Cile, Cambogia, a Sarajevo, a Mostar, in Albania, nel Kosovo, a Nassiriyah, Iraq e in Afghanistan.

Il peacekeeper è un membro di una forza di peacekeeping, ovvero di un’apparato ONU che si occupa di far mantenere la pace e la sicurezza in paesi colpiti da conflitti bellici giunti a trattati di pace. Sono i paesi stessi a chiedere l’intervento ONU di peacekeeping, per creare delle condizioni di pace sostenibili.

 

Una missione di peacekeeping solitamente conta tre centri operativi, di cui fanno parte i peacekeeper. Il primo sotto la direzione di un funzionario di alto profilo, si occupa di presiedere a tutte le operazioni di relazione diplomatica tra le parti che hanno stipulato il trattato di pace. Il secondo è la forza di polizia o apparato militare presente sul campo. Il terzo e ultimo si occupa di tutta la logistica della missione.

Andrea Angeli ben conosciuto dal mondo politico e diplomatico del Titano, per una volta viene in Repubblica non in veste di rappresentante ONU, ma in quella di scrittore e per la prima volta è ospite della Biblioteca di Stato per presentare il suo secondo libro.

All’incontro hanno partecipato l’Ambasciatore italiano Giorgio Marini, l’On. Fiorenzo Stolfi, l’On. Angela Venturini, moderatore dell’incontro Paolo Rondelli.

L’incontro avviene in un periodo particolarmente legato alla sua professione, in maggio infatti ricorrono due anniversari: Il 2 maggio 1991 segnò l’inizio delle guerre nell’ex Jugoslavia e il 28 maggio 2011 si celebra il 50° anniversario di Amnesty International.

Come mai la scelta di essere un peacekeeper?

“Quando iniziai ad andare in missione di pace era l’unico modo, per tanti giovani che si affacciavano alle Nazioni Unite, per proseguire la loro carriera e rimanere nel sistema. Ogni anno partivano circa 100 giovani. Per molti rappresentava una parentesi interessante per poi tornare in patria.

Alla fine degli anni ‘80 iniziarono le grandi missioni: Mozambico, Somalia, ex Jugoslavia. L’ONU vero non è a New York. L’ONU vero sono le missioni sul campo.

Dalla missione si scappa via dopo un semestre, oppure ci rimani a vita. Ho trascorso dieci anni in missione: cinque in Bosnia, uno in Albania, quattro in Kosovo”.

Qual è l’impressione dal punto di vista umano sulle misisoni?

“Sembrano non finire mai. Ogni missione è diversa, anche se spesso si tende ad accomunarle. Esempio quando si parla della missione nei Balcani. Non è stata una ma due, ben diverse tra loro. Quella in Bosnia e quella in Kosovo.

Quella del Kosovo sembra interminabile. Una frustrazione non vedere la fine del proprio lavoro, la missione portata a compimento.

Il lavoro prosegue, sono solo 74 i paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo e oggi noi siamo visti quasi come un freno al riconoscimento della piena sovranità del paese.

Per chi c’è stato e ci torna è ancora più delicato. Le persone del posto ti guardano con diffidenza, come a dirti: ma ancora sei qui? Non andate via?

San Marino è stata la 48esima nazione a riconoscere il Kosovo nel 2008, mentre 4 mesi fa il Vaticano ha nominato un delegato apostolico, che non significa il riconoscimento, forse uno spiraglio aperto. Questo per dare un’idea della situazione”.

Com’è la situazione della stampa dopo l’indipendenza?

“C’è stato un gran fiorire di pubblicazioni, anche troppe. Ci sono 7/8 giornali quotidiani, ma sicuramente la tendenza è a ridurre nel tempo. Nel primo momento è normale, c’è l’euforia e quindi il prolificare anche fuori misura”.

Un Paese piccolo come San Marino potrebbe contribuire a una missione Onu?

“San Marino intanto ha un Ambasciatore importantissimo. Una persona per cui non vale il: uno stato, un voto. Ha delle capacità di relazione fortissime. Per lui direi minimo: uno stato, tre voti.

Sarebbe bello poter vedere il primo basco blu sammarinese. Sarei felice di collaborare in questo senso. Delle missioni spesso fanno parte dei professionisti delle forze di polizia e non sempre con contingenti dai numeri elevati. Uno stato può anche mandare un solo membro.

Sarebbe bello vedere un agente sammarinese con sulla divisa da una parte la bandiera di San Marino e dall’altra quella delle Nazioni Unite”.

“Sulle missioni voglio aggiungere, che non sono missioni di pace ma per la pace. Non è la stessa cosa. Sono missioni in cui si può morire o essere costretti a sparare e uccidere. Penso sia giusto che venga detto subito quando si parla di una missione, senza esagerare, ma le cose devono essere dette per quello che sono, rischi e conseguenze possibili”.

Un riferimento alla missione che ha visto la strage di Nassirya?

“La tragedia di Nassirya, che ho vissuto in prima persona, è una cosa che ti rimane dentro per tutta la vita. Un’esperienza da cui non si esce mai. Da cui non riesci a uscire anche volendo. Il processo è ancora in corso. Incontri persone che comunque ti chiedono com’è stato, cosa ne pensi. Un’esperienza che non si dovrebbe vivere”.

 

Andrea Olimpi, 18 maggio 2011

 

Fonte: Certastampa.com

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