Mossa importante nel Grande Gioco dell’Asia centrale, che ha come perno la scacchiera afghana. L’India ha firmato con Kabul, in occasione della visita del presidente Karzai a New Delhi, una «partnership strategica» che spazia dall’economia alla sicurezza. In particolare gli indiani forniranno l’addestramento alle forze armate afghane.

Un accordo che provocherà certamente più di un mal di pancia al Pakistan, storico avversario dell’India, e che ha come vero obiettivo proprio quello di contenere l’influenza di Islamabad nella regione. Lo sfondo è il ritiro americano previsto per il 2014, che rischia di aprire un vuoto politico-militare e fare dell’Afghanistan il teatro di una guerra regionale per procura.

Le avvisaglie d’altra parte ci sono già state. A Kabul sospettano che siano stati i servizi segreti pachistani ad organizzare il mese scorso l’assassinio di Rabbani, l’ex presidente e capo negoziatore con i talebani. Così come a New Delhi sono convinti che ci fosse la mano di Islamabad dietro gli attacchi alle ambasciate indiane a Kabul nel 2008 e 2009 (in uno degli attentati restò ucciso anche lo 007 italiano Pietro Colazzo).

È anche per queste ragioni che ieri il premier Singh ha promesso che l’India «sarà al fianco del popolo afghano mentre si prepara ad assumere la responsabilità della propria sicurezza dopo il ritiro delle forze internazionali nel 2014». Questo significa, oltre alla cooperazione militare, progetti comuni in settori strategici come l’estrazione di gas, l’esplorazione mineraria e lo sviluppo di infrastrutture.

D’altra parte, l’India ha investito in Afghanistan nell’ultimo decennio circa due miliardi di dollari, con progetti che vanno dalla costruzione di autostrade all’edificazione del nuovo Parlamento. Gli osservatori concordano che tutto ciò sarà vissuto come un insulto dal Pakistan. E dunque gli occidentali, oltre che preoccuparsi del ruolo dei talebani nel post-ritiro, farebbero bene ad adoperarsi fin da ora per disinnescare la miccia accesa di un conflitto nel sub-Continente.

Luigi Ippolito, 5 ottobre 2011

Fonte: Corriere della Sera

 

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