La Casa Bianca detta che cosa si può dire e che cosa no al decennale

La Casa Bianca sta preparando con estrema cura le celebrazioni per il decimo anniversario dell’attacco alle Torri gemelle. Se da una parte ci sono il lutto e l’eroismo di una nazione che fa memoria di quella mattina in cui finì sotto l’attacco più crudele della sua storia, dall’altra ci sono i protocolli celebrativi di un evento che promette di dare molte indicazioni intorno  al linguaggio della politica e alla semantica del ricordo.

L’Amministrazione Obama ha diramato due distinte linee guida per condurre, con grande spirito di correttezza politica, la giornata in cui migliaia di manifestazioni, eventi e dichiarazioni si scontreranno in un colossale ingorgo comunicativo. Il presidente non vuole soltanto assicurarsi che certi concetti vengano omessi e altri valorizzati, ma anche che i toni siano adeguati a una rappresentazione tanto magniloquente quanto scivolosa.

La prima indicazione consiste di una singola pagina rivolta all’establishment politico interno nella quale gli uomini di Obama propongono una variazione sul tema affrontato dal presidente nel suo intervento radiofonico settimanale: “Service and remembrance”, epica dei servitori della nazione e ricordo silenzioso di chi non c’è più. Obama vuole mantenere il discorso sul piano elementare del ricordo, senza aprire la porta allo spirito di rivalsa e per questo dà indicazioni ai suoi di attenersi diligentemente alla semantica dell’equilibrio. Il più delicato memorandum che la Casa Bianca ha inviato alle ambasciate e ai consolati in giro per il mondo è frutto invece di settimane di dibattito interno ai palazzi dell’Amministrazione. Ne è nato un manuale della celebrazione in tre punti da applicare in modo rigido a prescindere dall’uditorio: primo, ricordare le vittime; secondo, ringraziare chi nel governo, fra i militari e nella popolazione ha contribuito alla ricostruzione e ha garantito la sicurezza americana; terzo, magnificare l’America per avere evitato un altro attacco di proporzioni simili. “Lo scopo principale delle nostre comunicazioni è presentare una narrativa positiva e orientata al futuro”, si legge nel documento formalmente riservato ma già trapelato alla stampa.

La caratteristica decisiva nella rappresentazione però è quella che un anonimo ufficiale dell’Amministrazione ha sintetizzato con la formula: “Non riguarda soltanto noi”. Dunque, accanto alle specifiche vittime di quello specifico attacco saranno ricordate anche quelle cadute per mano dei terroristi a Mumbai, Manila, Londra e in tutte le altre città dove al Qaida e le sue filiali hanno colpito. Il protocollo, dunque, prevede di elidere i tratti specifici e singolari dell’11 settembre per valorizzare invece le analogie degli anni successivi.

Innanzitutto si tratta di un’accortezza diplomatica, genere in cui Obama è solito arrotondare per eccesso: “Dobbiamo essere coscienti che stiamo parlando a un pubblico estremamente variegato”, ha detto il viceconsigliere per la sicurezza nazionale, Ben Rhodes, per spiegare che la Casa Bianca vuole evitare quei toni espliciti che potrebbero generare reazioni sgradite. Così incastona l’11 settembre in uno scenario terroristico più ampio.
La parola che occhieggerà con maggiore frequenza nei discorsi del presidente – pochi: parlerà nei giorni immediatamente precedenti e poi nell’anniversario – e in quello degli ufficiali del governo sarà “determinazione”: come l’America è stata determinata nel ricostruire la Freedom Tower sulle macerie del World Trade Center, così l’America sarà determinata nell’impedire che un attacco del genere possa ripetersi. “Noi onoriamo le vittime del terrorismo in tutte le nazioni del mondo”, ricordano le linee guida presidenziali. Dunque vanno espunti per decreto i riferimenti al fanatismo islamico e alla specificità dell’attacco di quella mattina di dieci anni fa, una procedura che del resto è in linea con i rigidi dettami semantici dell’obamismo. Il presidente ha eliminato dalla narrazione americana la “guerra globale al terrore”, l’“asse del male”, il terrorismo “islamico” e si è concentrato invece sulla circoscrizione del tema terroristico alla sola componente qaidista. Persino la guerra in Libia nelle parole di Obama non si chiama guerra ma “operazione militare cinetica”. Le linee guida della Casa Bianca per la grande celebrazione dell’11 settembre impongono dunque di immergere l’evento nel catino degli eventi consimili per rendere la narrazione retoricamente corretta.

Mattia Ferraresi, 31 agosto 2011

Fonte: Il Foglio

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