I “cripto cacciatori” di Netanyahu. Da un ufficio al Kirya di Tel Aviv si combatte la “quinta dimensione” della guerra

L’ammissione, o poco ci manca, è arrivata dal vice primo ministro israeliano Moshe Yaalon, che alla radio dell’esercito ha detto: “Per tutti coloro che pensano che la minaccia iraniana sia significativa, è ragionevole intraprendere passi diversi, inclusi questi, per fermarla”.

Il riferimento è al codice informatico “Flame”, fiamma, scoperto dalla compagnia russa Kaspersky, con incarichi per conto delle Nazioni Unite e fra i maggiori produttori di antivirus al mondo. Flame è il “malware” che ha pesantemente attaccato i siti iraniani. “Israele ha la benedizione di essere un paese tecnologicamente ricco e questi strumenti ci aprono ogni sorta di possibilità”, ha proseguito Yaalon. Secondo gli esperti di intelligence, Flame è un prodotto dei “cyber difensori” d’Israele. Usano le tastiere del computer al posto degli Uzi e difendono un confine invisibile.

Già due anni fa, quando le centrifughe iraniane di Natanz furono attaccate dal virus Stuxnet (introdotto da una banale chiavetta Usb), i principali indiziati furono i geni della unità che gli israeliani chiamano semplicemente “otto duecento” e che ha sede in un complesso di edifici che si trovano all’altezza di un noto incrocio stradale vicino a Tel Aviv, ribattezzato Gaylot.

Il reporter del New York Times, James Risen, nel libro “State of War” rivela un piano israelo-americano per mettere fuori uso le centrali iraniane tramite congegni elettromagnetici e informatici. L’ex capo dell’intelligence di Gerusalemme, Amos Yadlin, ha detto che “la guerra cibernetica è conforme al concetto di difesa dello stato d’Israele” e che “il ciberspazio è la quinta dimensione della guerra, dopo terra, mare, aria e spazio”.

All’interno del virus Stuxnet era contenuta una chiave impostata in maniera tale da funzionare come marcatore di infezione. Con un valore pari a “19790509” si verificava il contagio. E’ la data del 9 maggio 1979, il giorno in cui venne giustiziato dai mullah Habib Elghanian, presidente della comunità ebraica di Teheran e grande promotore dell’acquisizione di tecnologia occidentale negli anni Settanta sotto il regime dei Pahlavi. All’interno del virus Stuxnet è contenuta, guarda caso, anche la parola ebraica “Hadassah”. Mirto.

Al “generale N.”, a capo della unità 8200, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato mandato di usare ogni mezzo “offensivo” e “difensivo”, portando la guerra virale dentro alla casa dei nemici e proteggendo le infrastrutture israeliane da attacchi esterni. A gennaio un hacker mediorientale aveva rubato decine di migliaia di numeri di carte di credito israeliane, attaccando anche siti governativi e server sensibili. Netanyahu ha creato una divisione ad hoc, la National Cyber Defense Authority, che ha uffici dentro il celebre “Kirya”, il ministero della Difesa d’Israele. Il professor Isaac Ben-Israel della Università di Ariel, nei Territori, è un esperto di questo “terrorismo tecnologico”.

I geni e le imprese della 8200

L’unità 8200 impiega gli israeliani più dotati in matematica, criptoanalisi e informatica. E grazie al loro livello fenomenale nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica diversi membri della 8200, una volta tornati alla vita civile, hanno spesso dato vita a società quotate al Nasdaq di New York. Come Shlomo Dovrat, che ha venduto la Oshap Technologies alla Sunguard. Se prendiamo ad esempio Metacafe, Comverse e Check Point, tre delle maggiori compagnie informatiche israeliane, la prima è stata fondata dal reduce della 8200 Eyal Herzog; il principale prodotto della seconda, il Logger, è uscito dalla 8200, e anche la terza è stata fondata da membri.

Tra i successi più noti dell’Unità si ricorda l’intercettazione di una famosa conversazione tra il presidente egiziano Nasser e re Hussein di Giordania il primo giorno della Guerra del sei giorni, il colloquio tra il capo dell’Olp Yasser Arafat e il gruppo di terroristi che assaltarono la nave italiana Achille Lauro nel 1985, la decifrazione delle comunicazioni in codice tra l’Iran e il Pakistan in campo nucleare, e la famosa intercettazione nelle acque del mar Rosso della Karin A, un piccolo mercantile carico di armi iraniane destinate ai palestinesi di Gaza. Ma soprattutto l’operazione che nel 2008, poco prima dell’attacco preventivo israeliano al reattore nucleare vicino a Damasco, mise fuori uso i radar siriani. Si replica con Teheran?

Giulio Meotti, 31 maggio 2012

Fonte: Il Foglio

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