Nel nuovo libro del direttore di Repubblica, “Mediterraneo conteso”, le mappe per capire la geopolitica di un’area da sempre strategica

di Maurizio Molinari

Tre potenze globali, una dozzina di medie potenze in competizione e cinque conflitti in corso fanno del Mediterraneo il cuore strategico del pianeta. È il mare più antico, ha visto il debutto della prima nave da guerra – le triremi dei fenici – e della prima flotta – quella ateniese. È la sua posizione, fra il 30-45° Nord e il 0-30° Est, ad aver trasformato questo bacino d’acqua salata in un mare fertile e ospitante per ogni popolo e civiltà, e proprio per questo contendibile per ogni potenza, dall’antichità fino ai nostri giorni. Culla del monoteismo e teatro per un millennio del confronto fra cristianesimo e islam, il Mediterraneo è stato uno degli scenari in cui l’impero britannico è diventato globale, è stato un campo di battaglia cruciale nella Seconda guerra mondiale, ha ospitato una delle frontiere più calde durante la Guerra Fredda. Dopo la caduta del Muro di Berlino, ha visto proliferare una serie di conflitti militari e non solo, dai Balcani al Nordafrica fino al Medio Oriente, arrivati oggi fino a noi con la più cruenta delle guerre contemporanee: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin. Un intervento militare che punta ad assicurarsi stabilmente l’accesso al Mare d’Azov, al Mar Nero e dunque ai mari del Sud, riproponendo il più radicato bisogno strategico degli zar. È la storia delle potenze, del passato come del presente, che si specchia in questo mare, dove ogni tratto di costa, ogni isola, ogni passaggio può fare la differenza per definire equilibri assai più vasti.

Tre punti nevralgici

Il Mediterraneo ha tre punti di accesso: Gibilterra, Suez e i Dardanelli. Chi li controlla ha le mani su una delle maggiori rotte del commercio planetario senza il quale nessuna potenza, reale o velleitaria, può perseguire i propri interessi. La recente scoperta di ingenti giacimenti di gas naturale nelle acque orientali – contese fra Turchia, Cipro, Grecia, Israele e Libano – aumenta la rivalità fra i Paesi rivieraschi, così come il transito delle rotte dei migranti dall’Africa all’Europa e le basi dei gruppi jihadisti dal Sahel al Corno d’Africa disegnano i contorni di una polveriera dalle dinamiche imprevedibili. È questo lo scenario sul quale si confrontano le maggiori potenze del XXI secolo: Stati Uniti, Russia e Cina. Ognuna portatrice di interessi diversi, portatrice di strategie di conflitto differenti, ma tutte accomunate dalla convinzione che prevalere nel «mare di mezzo» significhi ipotecare l’influenza strategica su uno spazio che va dalla Manica al Golfo di Guinea, dal Bosforo allo Stretto di Bab el-Mandeb, dallo Stretto di Hormuz al mar Caspio. Il controllo delle acque, pertanto, conta quanto e più della conquista delle terre emerse. Lo insegna la Storia antica, come quella recente: fu la sconfitta di Cartagine a trasformare Roma in un impero, furono le repubbliche marinare ad assegnare alle città italiane un ruolo chiave nel Medioevo, fu la sconfitta di Lepanto ad arginare la marcia verso l’Europa dell’impero ottomano, fu il coraggio dell’ammiraglio Nelson a umiliare Napoleone ed è stato il possesso di Malta da parte degli Alleati a segnare la campagna del Nordafrica contro l’Afrika Korps di Rommel. Per non parlare del corpo dei Marines, nato sbarcando sulle spiagge di Tripoli, del viaggio di Exodus con a bordo i sopravvissuti della Shoà protagonisti della nascita di Israele, della crisi di Suez che cambiò il corso della sfida Usa-Urss e della Nato che ha perseguito con forza e costanza il controllo delle acque grazie all’integrazione delle unità Usa con quelle di Spagna, Francia, Grecia e Italia. Fino all’ingresso sulla scena della Russia di Putin, abile, dal 2014, a collezionare una presenza militare e strategica in Crimea, Siria, Cirenaica e di una miriade di basi aeree e terrestri dal Sahel al Medio Oriente. Una mossa che è riuscita ad assegnare alla flotta russa – sostenuta da un esercito ibrido di jet, spie, hacker e mercenari – un ruolo che neanche l’Urss ha mai avuto oltre il Bosforo.

Mosaico in dieci scenari

Grazie alle cartine di dieci diversi scenari è possibile immergersi in questo mosaico, dove ogni potenza, globale o locale, ha un approccio proprio al Grande gioco del Mediterraneo allargato. Sono dieci scenari subregionali diversi e complementari, dove si sovrappongono più duelli: la sfida planetaria fra Stati Uniti, Russia e Cina; la competizione regionale fra Grecia, Turchia, Francia, Spagna, Italia e Gran Bretagna; le rivalità nazionali fra Egitto, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Iran; le guerre in corso in Ucraina, Siria e Libia. Sullo sfondo, le crisi dei migranti, del terrorismo, dei cambiamenti climatici e delle trasformazioni energetiche che attraversano l’intera regione, in ogni possibile direzione. Anche correndo sui fondali marini. A completare la lettura di questo palcoscenico del mondo che cambia vi sono dati e numeri che ne descrivono le differenze fra Stati su caratteristiche digitali, natalità, crescita economica, istruzione, spesa militare, fede e rispetto delle libertà fondamentali. Tutto ciò per conoscere ed esplorare le nuove mappe del mare più antico, avvicinandosi a leader e nazioni che perseguono interessi che a volte collimano e altre configgono, perché espressione di proiezioni diverse del proprio ruolo nel XXI secolo. Per Mosca e Pechino la priorità è stravolgere l’equilibrio internazionale frutto della Guerra Fredda, e dunque guadagnare spazio ai danni dell’Occidente, insediandosi ovunque le democrazie mostrino segnali di affanno o difficoltà. È un’offensiva che vede Mosca usare soprattutto l’arma militare e Pechino puntare invece sulla penetrazione economica, seguendo tracciati dissimili ma coincidenti nel portare la sfida nel cuore delle aree geopolitiche della Nato e dell’Ue. Navi e aerei russi nelle basi in Mar Nero, Medio Oriente e Sahel lasciano intendere la nostalgia di Vladimir Putin per l’impero di Pietro il Grande, così come gli investimenti e l’alta tecnologia cinese in Europa, Israele, Golfo e Africa riflettono l’ambizione di Xi Jinping di riuscire a superare gli Usa nella leadership globale. È una doppia formidabile sfida agli Stati Uniti, che Washington affronta consolidando le alleanze tradizionali in Europa, Asia e Africa, moltiplicando gli sforzi nell’innovazione e puntando su difesa del clima e dei diritti umani per fare breccia nelle popolazioni soggiogate dalle autocrazie. È una sfida ibrida dove tutti i maggiori protagonisti giocano su più tavoli – politico, militare, economico, digitale, scientifico – sovrapponendo hard power e soft power. In questa azione, tuttavia, si trovano davanti Paesi che tentano di affermare i propri interessi nazionali in maniera disinvolta, indipendente dagli schieramenti.

Sicilia, il cuore della regione

Dall’epoca delle guerre greco-puniche, chi controlla la Sicilia domina il Mediterraneo. Fra il VI e il V secolo a.e.v. quest’isola fu il campo di battaglia cruciale fra le città-Stato dell’antica Grecia e la potenza fenicia di Cartagine. Alla fine a prevalere fu Roma, imponendosi sui cartaginesi, e un secolo più tardi iniziarono le guerre puniche nelle quali la Sicilia ebbe un ruolo chiave perché i romani, dopo averla conquistata, la usarono come trampolino per successive campagne in Africa e nel resto del Mediterraneo. Da allora tutti i maggiori attori della Storia si sono contesi la Sicilia: bizantini e arabi, saraceni e normanni, spagnoli, francesi e austriaci – durante la Guerra di successione spagnola nel XVIII secolo – fino a Borbone e Savoia e, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, gli eserciti alleati che, guidati dalla scelta di Winston Churchill, sbarcano in Sicilia con l’operazione Husky nel luglio 1943, iniziando la liberazione dell’Europa dominata dai nazifascisti e assumendo il controllo di una formidabile piattaforma terrestre nel bel mezzo del Mediterraneo. Durante la Guerra Fredda è la Nato a costruirvi basi aeree e installazioni di intelligence per spiare la flotta sovietica e difendere il proprio fianco sud, e dopo il crollo del Muro di Berlino il comando supremo alleato in Europa scopre che la Sicilia continua a essere decisiva: come base per gli interventi nei Balcani alla fine degli anni Novanta e per combattere contro il terrorismo jihadista in Nordafrica e altrove dopo gli attacchi di al-Qaida dell’11 settembre 2001 contro New York e Washington. Se la Storia è così spesso passata per la Sicilia – e continua a farlo – è perché l’isola ha una posizione strategica unica per svariate ragioni: è il punto di connessione fra Europa, Nordafrica e Medio Oriente; chi la controlla è in grado di dominare importanti rotte marittime fra Suez e Gibilterra come dimostra il fatto che lo Stretto di Messina è fra i corridoi di navigazione più trafficati al mondo. Ciò significa che basi militari, stazioni di ascolto, centri operativi di droni e antenne hi-tech posizionate in Sicilia consentono di lottare contro la pirateria, ogni tipo di traffici illeciti, i terroristi di qualsiasi matrice e ogni altra minaccia proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo. E ancora: sicurezza, difesa, attività economiche, flussi del turismo e risorse energetiche – gas naturale e petrolio – contribuiscono ad aumentare l’importanza di quest’isola. Da qui il valore per l’Italia, gli Stati Uniti e la Nato delle sue installazioni militari: Augusta, sulla costa orientale, che ospita unità di ogni tipo più i sottomarini; Sigonella, la più grande base aerea Usa in Europa, epicentro delle operazioni americane nell’intero scacchiere del Mediterraneo allargato e anche oltre; Trapani-Birgi, sulla costa orientale, usata dalla Nato per operare in Nordafrica come nei Balcani; Catania- Fontanarossa, sede di una squadriglia di caccia dell’aeronautica italiana; Palermo, nel cui porto sosta ogni tipo di unità della marina militare. Ma non è tutto perché a XXI secolo inoltrato la Sicilia è diventata anche l’epicentro di un altro equilibrio strategico la cui importanza compete con quella militare più tradizionale: i cavi sottomarini attraverso cui transitano i mega flussi di dati che collegano Asia, Africa ed Europa. Se oggi i dati sono i beni più ambiti e più scambiati al mondo, la loro capacità di muoversi velocemente attraverso tre continenti viene dai cavi fisici posizionati sui fondali che poi toccano le coste siciliane. I nomi di questi cavi sono sconosciuti ai più ma senza di loro gran parte delle comunicazioni intercontinentali semplicemente non potrebbe avvenire. Il Sicily- I collega la Sicilia con Malta e Tunisia; il Sicily-Malta Interconnector consente il trasferimento di energia elettrica tra Sicilia e Malta; il Sicily-Tunisia collega la Sicilia alla Tunisia e dunque all’intera Africa; il Sicily-Italy include diversi cavi sottomarini che collegano l’isola alla terraferma, fornendo una connessione affidabile senza la quale l’Italia non sarebbe tecnologicamente unita. Non meno importante è il Sea-Me-We-3 internazionale, che collega l’Europa all’Asia, attraversando il Mediterraneo e trasfor-mando la Sicilia in uno dei punti di interconnessione fra l’Italia, l’Egitto, l’India e la Cina. E per finire, l’Aae-1 (Asia Africa Europe-1): un cavo transcontinentale che collega l’Asia all’Africa e all’Europa, dunque fra i più importanti al mondo. Guardare al Mediterraneo dalle profondità marine significa comprendere che il cuore strategico è la Sicilia.

Fonte: la Repubblica

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