di Rolla Scolari

Gerusalemme non sarebbe «divisa» bensì «condivisa» in un piano di pace tripartito tra Israele, Autorità nazionale palestinese e Hamas. È l’emittente libanese «al Mayadeen» a rivelare la bozza dell’«Accordo del secolo», il piano cui da anni lavora il genero del presidente, Jared Kushner, e di cui finora sono emersi pochi e confusi dettagli. Avrebbe dovuto essere presentato al termine del mese islamico del Ramadan, in estate. Poi, l’annuncio è stato posticipato dopo le elezioni in Israele e la formazione di un governo. Il governo non è però mai nato e Israele voterà a marzo perla terza volta in un anno.

Mentre la stampa americana dubita da settimane sui destini del piano e uno dei suoi principali architetti, l’inviato per il Medio Oriente, Jason Greenblatt, ha dato le dimissioni, i particolari dell’accordo sono stati divulgati da Beirut da un’emittente vicina a Hezbollah, partito al governo in Libano, ma anche milizia sciita sostenuta dall’Iran e principale rivale d’Israele. I dettagli sul possibile accordo sono stati ripresi con freddezza dalla stampa israeliana e la prudenza sullo stato di avanzamento della bozza è d’obbligo.

Tuttavia i dettagli emersi riprendono in blocco in alcuni casi notizie degli ultimi mesi: la custodia dei luoghi sacri di Gerusalemme, per esempio, passerebbe all’Arabia Saudita, togliendo il compito alla Giordania. La Valle del Giordano resterebbe sotto sovranità israeliana, ed è da poco che il premier Benjamin Netanyahu ha fatto sapere di avere, proprio su questo, l’appoggio americano. Nella bozza, uno Stato palestinese nascerebbe in Cisgiordania e Gaza. Lo Stato non includerebbe i blocchi di insediamenti israeliani oggi esistenti nei Territori palestinesi, che resterebbero sotto Israele. Gaza e Cisgiordania, geograficamente separate, sarebbero unite da un’autostrada costruita da una compagnia cinese a 30 metri di altezza dal suolo (israeliano).

L’Egitto, che ha sempre negato questa eventualità, garantirebbe ai palestinesi di Gaza terra per la costruzione di un aeroporto e zone industriali non abitabili. Il blocco israeliano ed egiziano sulla Striscia sarebbe progressivamente allentato. Il gruppo islamico che controlla la Striscia, Hamas, che recentemente non ha mai accennato all’abbandono della lotta armata, deporrebbe le sue armi. Gli stipendi dei suoi (ex) miliziani sarebbero pagati dai Paesi arabi, gli stessi che però da anni sono sempre meno coinvolti dalla questione palestinese. Lo Stato palestinese sarebbe demilitarizzato e il compito di proteggerlo da minacce esterne ricadrebbe—sotto il pagamento di una somma da stabilire — all’esercito israeliano.

Gerusalemme, la capitale contesa, sarebbe «condivisa». La municipalità resterebbe amministrata da Israele, lo Stato palestinese gestirebbe l’educazione dei residenti arabi, che avrebbero passaporto palestinese. Se Israele non accettasse il piano—finanziato con 30 miliardi di dollari in cinque anni al 20 per cento dagli Stati Uniti, al dieci dall’Europa e al 70 dagli Stati del Golfo — Washington interromperebbe gli aiuti economici all’alleato. Lo stesso varrebbe per la leadership palestinese. A un anno dalla firma sarebbero indette in Palestina elezioni democratiche. E nel giro di tre anni sarebbero liberati i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Fonte: La Stampa, 18 dicembre 2019

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