di Giuseppe Agliastro
Il «falco del Cremlino» Nikolai Patrushev è il più ascoltato degli assistenti di Vladimir Putin. In questi anni il presidente russo non ha preso nessuna decisione strategica senza essersi prima consultato con il segretario del suo consiglio di sicurezza. Dall’invasione della Crimea all’intervento militare in Siria, dalla crisi venezuelana alla guerra in Ucraina, tutte le principali questioni passano al vaglio di questo potente generale noto per la sua visione politica in stile Guerra Fredda che pone gli Usa e le «rivoluzioni colorate» tra le principali minacce alla sicurezza della Russia. Anche gli ordini degli omicidi di Stato sono quasi sicuramente passati dalla sua scrivania. Secondo gli investigatori britannici, per esempio, l’uccisione dell’ex tenente colonnello dell’intelligence russa Aleksandr Litvinenko, avvelenato a Londra con una micidiale tazza di tè al polonio radioattivo, «fu probabilmente approvata» da Vladimir Putin e dallo stesso Patrushev, allora numero uno dell’Fsb, i servizi segreti con sede nella famigerata Lubyanka.
Insignito della medaglia di Eroe della Russia ma sanzionato da Unione Europea e Stati Uniti, Patrushev conosce il leader del Cremlino da circa tre decenni, cioè almeno dai primi anni ‘90. I due hanno un passato e una forma mentis molto simili. Sono entrambi di San Pietroburgo ed entrambi si sono arruolati nei servizi segreti sovietici negli anni ‘70. Prima ufficiale del Kgb e poi del controspionaggio russo, Patrushev ha sostituito Putin come capo dell’intelligence di Mosca nel 1999 e nove anni dopo, nel 2008, è stato nominato segretario del consiglio di sicurezza russo dallo «zar». C’è insomma un motivo se Patrushev è tra i più fidati assistenti di Putin. Quando nel 2000 salì al potere, a Putin fu chiesto quali fossero le persone in cui riponeva maggiore fiducia. Il presidente russo fece cinque nomi. Tra questi c’era proprio quello di Nikolai Patrushev, allora direttore dell’Fsb.
Due degli altri quattro nominati sono o sono considerati a loro volta ex agenti del Kgb. Uno è Sergey Ivanov, dapprima vice di Putin al comando dei servizi segreti, poi segretario del Consiglio di Sicurezza, ministro della Difesa, vice premier, capo dell’amministrazione presidenziale e ora rappresentante del presidente per l’Ambiente e i Trasporti. L’altro è il temutissimo Igor Sechin, che guida il colosso del petrolio Rosneft ed è ritenuto l’uomo più influente del Paese dopo Putin.
Patrushev, Ivanov e Sechin fanno parte della stessa casta, la più potente della Russia: quella dei silovikì, cioè gli esponenti degli apparati di forza come ministero della Difesa, polizia e soprattutto servizi segreti. È tra loro che l’ex ufficiale del Kgb Vladimir Putin ha scelto molti dei suoi fidi paladini. Numerosi osservatori li considerano dei conservatori, spesso antiliberali, e propensi a usare il pugno di ferro per governare lo Stato. Ma per Patrushev gli ufficiali dell’intelligence sono la «nuova nobiltà». «I nostri migliori colleghi, l’onore e l’orgoglio dell’Fsb, non fanno il loro lavoro per denaro», disse in un’intervista nel dicembre del 2000. Per l’oppositore Aleksey Navalny sarebbe invece Patrushev ad amare fin troppo il denaro. In un’inchiesta del 2014, il blogger anticorruzione sosteneva che Elena, la moglie del segretario del Consiglio di Sicurezza russo, avesse una villa da 46 milioni di dollari intestata a proprio nome in una prestigiosa zona di Mosca. Impossibile – secondo Navalny – comprarla con i soli stipendi dei due coniugi.
Fonte: La Stampa, 29 marzo 2019