di Carmelo Abisso

Dal 9 all’11 settembre 2011, presso la Cittadella di Alessandria, ha avuto luogo il convegno “Operazioni di pace nel XXI secolo. Ruolo e contributo dell’Esercito Italiano e delle Forze Multinazionali”. Sono intervenuti rappresentanti delle Istituzioni e delle Forze armate nazionali, esperti, analisti, scrittori, docenti e referenti delle organizzazioni internazionali. Perseo News ha seguito i lavori del meeting durante il quale si sono alternati momenti di dibattito, case study e tavole rotonde che hanno approfondito il tema del peacekeeping, ovvero, secondo le Nazioni Unite, “il modo per aiutare paesi tormentati da conflitti, senza diritti civili e prosperità economica, a creare condizioni di pace sostenibile”. Quella che segue è la cronaca delle tre giornate.

“Explain it as simple as it is, but not simpler!” – Albert Einstein

( “Spiega le cose semplicemente come sono, ma… non troppo semplicemente!” )

venerdì 9 settembre

La giornata è iniziata alle dieci con la cerimonia dell’alzabandiera sul bastione della Cittadella, lo stesso dove il 10 marzo 1821, durante il moto costituzionale piemontese, si innalzò il primo tricolore nazionale. Presenti il sindaco di Alessandria, Piercarlo Fabbio, il capo di stato maggiore dell’Esercito, generale di corpo d’armata Giuseppe Valotto, il comandante del Coi(Comando operativo di vertice interforze), generale di corpo d’armata Giorgio Cornacchione, con altre autorità civili e militari.

In seguito, nella sala della caserma Montesanto “Salle d’artifice”, il professor Alessandro Politi, docente presso la Sioi(Società italiana per l’organizzazione internazionale) e moderatore del convegno, ha salutato gli intervenuti ed introdotto i lavori. E’ stato letto il messaggio inviato dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Biagio Abrate:

“Il tema del convegno offre una grande opportunità per evidenziare il preziosissimo lavoro che l’Esercito italiano e tutte le Forze armate svolgono, con professionalità e assoluta dedizione, per onorare gli impegni assunti dall’Italia nelle operazioni a sostegno della pace, della stabilità e della sicurezza internazionale”. (…) “Voglio ricordare il grande sforzo e il lavoro prezioso che i militari dell’Esercito, insieme ai colleghi delle altre Forze armate, stanno producendo in Kosovo, Libano e soprattutto in Afghanistan dove quotidianamente sono impegnati per la sicurezza del popolo afgano e la stabilità delle Istituzioni. In queste missioni internazionali l’Esercito, strumento altamente qualificato, duttile e reattivo, rappresenta una risorsa fondamentale per il Paese e per la Comunità internazionale ai fini della risoluzione delle crisi e del soccorso alle popolazioni in difficoltà”. (…) “Sono pertanto grato a tutti i promotori di questo autorevole convegno per l’attenzione che hanno voluto riservare a un tema così importante ed attuale per tutto il mondo militare”.

Ha preso poi la parola il sindaco Piercarlo Fabbio sul tema “Il Risorgimento e i 150 anni dell’Unità d’Italia: il ruolo delle Forze Armate nel processo di costruzione dello stato”: Per iniziare a dimostrare una tesi sul luogo in cui siamo, sul rapporto tra città ed Esercito, tra Cittadella e storia unitaria dello Stato italiano”.Se scorriamo la nostra storia, infatti, la vediamo incastonata tra episodi di interesse ben diverso da quello meramente localistico. Almeno nazionale, quando non internazionale”. Nel 1728 inizia la costruzione della Cittadella, i Savoia investono grandi quantità di denaro per fortificare la città da poco diventata piemontese, radono al suolo un quartiere di 14.000 abitanti, Bergoglio, violando il trattato di Utrecht(1714). La fortezza alessandrina diventa protagonista di momenti importanti della storia, dalla battaglia di Marengo, 14 giugno 1800, quando i francesi rientrano in Cittadella, ai moti del 1821 che da Alessandria si propagano al resto del Piemonte. “Ma la fortezza ebbe molti ruoli – continua il sindaco – fu teatro dei moti del 1833, che costarono la vita ad Andrea Vochieri, il luogo di raduno, nella primavera del 1855, dei 15.000 uomini del corpo di spedizione sardo-piemontese in Crimea. Nel 1867 Giuseppe Garibaldi, dopo un comizio per le elezioni politiche tenuto in città, viene arrestato e carcerato in Cittadella per ordine di Urbano Rattazzi, alessandrino, presidente del Consiglio. Nel novecento la fortezza diventa guarnigione di diversi reggimenti. In particolare il 37° reggimento fanteria della divisione “Ravenna”, che parte dalla Cittadella per la Russia nel 1942, combattendo valorosamente sul fronte del Don e meritando la medaglia d’oro al valor militare.E poi, mi si consenta un vezzo, tutto alessandrino: l’ultima carica della cavalleria italiana, eseguita stendardo in testa dal reggimento Cavalleggeri di Alessandria, il 17 ottobre 1942, a Poloj in Croazia, che di fatto conclude un modo di combattere che aveva contraddistinto almeno tre secoli di strategia bellica. Era l’ultimo retaggio di guerre che avevano connotato secoli di tensioni e anticipava un lungo periodo di pace, ove l’Esercito mutava la sua mission al punto da separarsi da quella fortezza che ancora oggi riporta sui suoi laterizi incisi i nomi, le invocazioni, gli anni, le speranze di tanti giovani il cui tempo era stato raccolto da queste mura, che oggi raccolgono le voci di una dimensione di pace che il nostro Esercito sta portando nel mondo”.

“Esercito italiano: una risorsa per il paese e per la stabilità internazionale”, questo il titolo dell’intervento successivo del capo di stato maggiore dell’Esercito, generale di corpo d’armata Giuseppe Valotto. “Mi propongo di fornirvi un’istantanea sugli aspetti essenziali della componente terrestre, sulle più recenti novità concettuali e organizzative e sulle principali linee evolutive. Sottolineo subito con profonda determinazione e con profondo orgoglio che l’Esercito, da solo, rappresenta più dell’80 % del contributo italiano alla stabilità internazionale e che oggi, in particolare, le operazioni in Italia e all’estero, sono il suo centro di gravità”. Così il generale Valotto ha iniziato il suo intervento, passando poi a ricordare quanto l’Esercito ha fatto sul fronte della formazione del personale – ufficiali, sottufficiali e graduati di truppa – che rappresenta il nerbo, la base fondante della Istituzione. Ha introdotto poi il concetto di “prodotto Esercito”, cioè il servizio che la Forza armata rende al Paese e ai suoi cittadini, citando le operazioni attuali, un impegno “globale”: 5.400 militari impiegati in operazioni di natura e scopi quanto mai variegati, in 15 missioni – sotto egida Onu, Nato, Ue e a seguito di accordi bilaterali – in 18 paesi differenti. Sul territorio nazionale, 4.300 militari sono impiegati nell’operazione “Strade sicure” dall’agosto 2008, con risultati significativi(tra l’altro,119 kg. di droga sequestrati dai nostri soldati). Occorre poi ricordare “Strade pulite”, l’emergenza rifiuti, l’operazione “Gran Sasso”, l’emergenza sisma che ha colpito l’Abruzzo dove sono stati impiegati 2.000 uomini e 400 mezzi e, contestualmente all’intervento di soccorso, l’Esercito si è fatto carico di contribuire alla sicurezza del vertice G8 con altri 3.000 militari. Non bisogna poi dimenticare gli interventi per calamità naturali e la bonifica di ordigni esplosivi, 15.390 negli ultimi cinque anni. Valotto ha poi accennato all’evoluzione degli scenari internazionali, passati dallo scenario bipolare ad una realtà in costante e continua evoluzione, dai contorni sempre più incerti, dove occorre ridurre i margini di sorpresa e mantenere un certo grado di flessibilità nei propri piani per fronteggiare l’instabilità internazionale.Nelle moderne operazioni militari è necessario sviluppare un “comprehensive approach”, che consenta di soddisfare le esigenze di sicurezza interna, ricostruzione istituzionale e aiuti umanitari, mantenimento di un ambiente sicuro e addestramento, ricostruzione e sviluppo mediante l’interrelazione con i principali attori in teatro operativo. Da qui il ruolo fondamentale dei comandanti della forza, cha hanno la possibilità di influenzare decisioni chiave mediante una regolare interazione e scambio di vedute con gli “stakeholders”, le personalità prominenti del paese. Il capo di stato maggiore dell’Esercito ha poi identificato le linee guida del processo di revisione e ammodernamento dello strumento operativo terrestre: sostenibilità, versatilità e proiettabilità, protezione e letalità, interoperabilità, indicando quindi la sua vision : “L’output operativo rimane l’obiettivo fondamentale della Forza Armata. Un traguardo che si deve conseguire sviluppando in modo armonico le componenti fondamentali: le forze a disposizione, le strutture di comando, il supporto in tutte le sue componenti”. Il moderno ambiente operativo impone un processo di  trasformazione che, oltre sull’innovazione tecnologica, verterà anche sullo sviluppo di una dottrina d’impiego che tenga conto delle “lezioni apprese” in operazioni, che sono lo specchio del cambiamento e determinano, insieme alla tecnologia, la necessità sempre più forte di adeguare l’addestramento. In conclusione, il generale Valotto ha ricordato come la componente terrestre negli attuali e futuri scenari operativi rimane fondamentale per contrastare le minacce ibride ed essenziale per interagire con la dimensione umana dell’ambiente operativo. Ci sarà in altri termini sempre bisogno di “boots on the ground”. La sfida consisterà soprattutto nell’individuare soluzioni che armonizzino i benefici della tecnologia con la massimizzazione del potenziale umano che, con le famiglie, costituisce la risorsa più importante dell’Esercito.

“Le Forze Armate italiane nelle missioni internazionali” è stato il tema sviluppato dal comandante del Coi, generale di corpo d’armata Giorgio Cornacchione. L’evoluzione qualitativa delle missioni internazionali è passata dall’osservazione – Untso nel 1948 in Medio Oriente – all’interposizione – Unifil nel 1978 il Libano – fino all’imposizione – Unosom II nel 1993 in Somalia. Secondo il rapporto Brahimi dell’agosto 2000, il numero degli interventi Onu ha subito una variazione importante dopo gli anni ’90: 15 sono stati gli interventi nel periodo 1946-1990, 71 quelli dal 1991 ad oggi. La tipologia degli interventi, oltre a osservazione, interposizione e imposizione, prevede anche l’antipirateria, l’antiterrorismo e il controllo dei flussi migratori. Il contributo nazionale italiano alle operazioni internazionali è particolarmente significativo. In Afghanistan, nell’operazione Isaf – coalizione di 49 nazioni nel mondo – abbiamo il comando della regione ovest ad Herat, con 4.200 uomini, 5 velivoli e 25 elicotteri. Nell’operazione “Unified Protector” per la Libia, sono stati impegnati 2.000 uomini, 12 velivoli, 4 unità navali, 7 aeroporti e 2 porti in Italia. E’ stato costituito poi il Comando Eufor Libia, per il soccorso umanitario a sostegno delle Nazioni Unite e a Bengasi è impegnato un team di 10 istruttori a favore del Cnt(Comitato nazionale di transizione). Oltre a ciò sono state effettuate evacuazioni di connazionali e stranieri, interventi sanitari e trasporto di aiuti. In Libano, nella operazione Unifil 2, abbiamo il vice comandante di Unifil, il comando del settore ovest a Shama, con 1.700 uomini e 4 elicotteri. Nel Corno d’Africa, nelle operazioni “Ocean Shield” della Nato e “Atalanta” della Ue, è impegnato un assetto navale, il cacciatorpediniere “Andrea Doria”. Nei Balcani, oltre ad Albania e Bosnia, dove abbiamo rispettivamente la Die (Delegazione italiana esperti) e un distaccamento, sono impegnati in Kosovo 650 uomini nell’operazione “Joint Enterprise” di Kfor. Il generale Cornacchione, per ricordare “la via italiana alle missioni”, ha concluso con una citazione del colonnello Cesari che nel 1925 commentò l’intervento militare italiano a Creta (1896-1906) sulla “Rassegna dell’Esercito Italiano”: “Non attendiamoci riconoscenza, poiché il popolo cretese potrà vedere nell’azione nostra solamente una occupazione straniera per ragione di quieto vivere e di equilibrio internazionale, ma rassicuriamoci invece sul modo in cui questa occupazione venne, particolarmente da noi, esercitata, lasciando cioè in ogni parte dell’isola tracce tangibili dei nostri sentimenti liberali e della nostra civiltà”.

Nel pomeriggio è iniziato il case study “Peace support operations in Afghanistan”.Ha aperto i lavori il generale di divisione Flaviano Godio, direttore del Centro studi post conflict operations dell’Esercito di Torino, che ha ricordato come l’Afghanistan sia uno scenario complesso, soprattutto per i militari. I quali, per prepararsi ad affrontare una missione cosi complessa, devono fare un approntamento specifico, accurato ed esteso a tutti. Spesso si opera “tra” e “per” la popolazione. Ecco che diventa rilevante la figura del “caporale strategico”, “..ogni uomo/donna operante sul terreno che interagisce con la popolazione è un sensore che, al suo livello, conduce comunicazioni strategiche”. L’efficacia dell’approccio italiano è anche basata su conoscenza e rispetto di popolazione e cultura locale. In seguito è intervenuto il generale di divisione Giangiacomo Calligaris, capo reparto operazioni del Coi, che ha inquadrato la missione Isaf partendo dalle origini, con la conferenza di Bonn del 5 dicembre 2001 fino alla risoluzione 1510 con la quale il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell’ottobre 2003 estende il mandato di Isaf all’intero paese afgano. L’impegno nazionale prevede il comando del Regional command west di Isaf, che comprende le province di Herat, Farah, Ghor e Badghis su un’area di 160.316 kmq con una popolazione di 3.227.027 abitanti. Nell’area di responsabilità sono schierati circa 8.000 militari di cui, come già detto, 4.200 italiani, attualmente su base brigata paracadutisti “Folgore”. La minaccia principale, legata alla presenza di talebani e criminalità locale, è costituita dagli Ied (Improvised explosive device), gli ordigni esplosivi improvvisati. Allo scopo di prevenire, ridurre o eliminare gli effetti di tutte le tipologie di Ied utilizzate contro le forze amiche e i non combattenti, sono state implementate un insieme di attività di contrasto, le counter-Ied. Interessante la visione e l’analisi di alcuni filmati che riproducono gli “strike”. Nell’intervento successivo, il generale di divisione Paolo Serra, capo del IV reparto logistico dello stato maggiore dell’Esercito, già comandante del Regional command west di Isaf, ha ricordato la sua esperienza di comando nel teatro afgano dall’ottobre 2008 all’aprile 2009. A proposito dei soldati italiani, ha citato il generale David Petraeus: “Sono orgoglioso di avere al mio comando i militari italiani in Afghanistan, sono un esempio di sacrifico e impegno. Auspico il consolidamento dei successi ottenuti contro i taleban a Bala Murgab e a Shindand, un meraviglioso lavoro. Indico, come modello da imitare, il Provincial reconstruction team(Prt) di Herat”. La peculiarità delle nostre donne in uniforme, “tigri” in battaglia, sensibili e preziose a contatto con la popolazione. Il ruolo del comandante, gli obiettivi da raggiungere, il ponte di Bala Murgab. L’approccio onnicomprensivo e le tre parole chiave: sicurezza, ricostruzione e governabilità. Il sostegno dei superiori, la loro presenza in teatro cioè “la forza delle parole”. Il consenso della popolazione. La cooperazione, come “un pugno chiuso”, tutti insieme. Ha concluso gli interventi il ministro plenipotenziario Giovanni Brauzzi, capo della unità Pesc-Psdc del ministero degli Esteri, che dopo una riflessione sulla doppia lettura da dare al termine talebano, ha chiuso affermando che la riconciliazione in Afghanistan passa attraverso il recupero di una comunità etnica. Il moderatore Alessandro Politi ha poi attivato il dibattito tra i quattro relatori del case study. La giornata è terminata con una interessante visita guidata alla Cittadella, accompagnati dai volontari del Fai, il Fondo ambiente italiano.

 

sabato 10 settembre

“Aspetti e problemi dell’attuazione di misure di stabilizzazione e ricostruzione nelle missioni di pace”, con questo tema Alessandro Politi ha aperto i lavori della seconda giornata del convegno, dando la parola al dottor Carlos Lopes, direttore dello United nations system staff college(Unssc) di Torino. E’ una organizzazione delle Nazioni Unite che svolge attività di formazione per il personale Onu proveniente da tutto il mondo. Ha come obiettivo il rafforzamento delle competenze dei funzionari Onu su temi quali leadership, sviluppo, pace e sicurezza. Lopes dice subito che le sfide che le Nazioni Unite devono affrontare sono infinite. Negli ultimi anni ci sono stati 30 conflitti armati, interni o politici – 70 % in Africa: Congo, Somalia, Sudan – la cui mediazione è sempre difficile e la soglia del numero non diminuisce. Ci sono tre dilemmi di guerra: la quasi totale assenza di distinzione tra civili e combattenti, con conseguente elevato numero di perdite, la natura diversa dei combattenti(donne, bambini, contractors) e il confine sottile tra attività umanitarie militari e civili. Evitare conflitti e promuovere la pace è la missione principale dell’Onu, obiettivo primario è la protezione dei civili, donne e bambini. L’Onu deve essere pronta e assertiva con le attività di peacekeeping, l’insicurezza è diventata la sfida primaria. Occorre un coinvolgimento costruttivo per evitare le tragedie, passando dalla reazione alla prevenzione con lo strumento della mediazione. “ Le informazioni tempestive – ha concluso Lopes – possono aiutare le parti in causa, ma occorre agire con la diplomazia preventiva. La capacità di prevenire i conflitti dovrebbe rimanere al centro della comunità internazionale”.

Il secondo intervento è stato del generale di corpo d’armata Claudio Graziano, capo di gabinetto del ministro della Difesa. “In questo momento la complessità degli interventi è influenzata dalla crisi finanziaria globale” ha esordito il generale Graziano. Esiste un “alone di sofferenza”, cioè una serie di conflitti non risolti che generano poi altri conflitti. Centro di gravità per tutte le parti in causa è la popolazione, obiettivo fondamentale il consenso. Il futuro del peacekeeping è l’approccio unitario a 360°. Occorre affrontare le crisi coinvolgendo tutti, organismi nazionali, paesi amici e alleati, partner esteri, autorità e popolazione locale. Condizioni migliori quando si agisce con l’egida Onu, il “basco azzurro” delle Nazioni Unite garantisce la massima legittimità. Condizione per il successo è il mandato, che deve essere chiaro, completo, sostenibile. La dottrina delle Nazioni Unite prevede il “Robust peacekeeping”, che supera anche concettualmente i capitoli VI e VII. Graziano ha poi parlato della sua esperienza personale in Libano. La missione Unifil 2 è una operazione ai sensi del capitolo VI plus, con regole d’ingaggio”forti”, un area limitata, un mandato semplice che parte dalla cessazione delle ostilità con un approccio multidimensionale – militare, politico/civile, supporto –dove il Force commander è anche Head of mission, cioè comandante e negoziatore. Importanti il coordinamento con le parti – Forze armate libanesi(Laf) e israeliane(Idf) – il dialogo con le istituzioni locali e i rapporti con la pubblica informazione. “Si è passati dal Mozambico al Libano – ha concluso il generale Graziano – come dall’età della pietra all’università!. Unifil in Libano è la dimostrazione che la negoziazione funziona se supportata da una forza militare importante e credibile”.

Il ministro plenipotenziario Giovanni Brauzzi ha tenuto l’ultimo intervento del mattino. In merito alla missione Unifil, nel 2006 c’è stato un “balzo” dell’Italia nella considerazione internazionale per la decisione di intervenire in Libano. Il problema delle missioni è quello di combinare costruttivamente l’agenda per la pace e la sicurezza con quella per lo sviluppo. Noi dobbiamo sfruttare “l’organica visione nazionale delle operazioni di pace”, tutta italiana. Si fanno valere le sinergie e le compatibilità tra i civili e i militari, si ottimizzano le risorse disponibili e aumentano le capacità. La vocazione fondamentale italiana all’approccio multilaterale è il nostro punto qualificante”. Il problema è l’equilibrio tra ambizioni e risorse. Ogni sei mesi il Parlamento deve rifinanziare le missioni internazionali per chiedere risorse, è uno iato molto sentito che condiziona il profilo strategico delle nostre missioni. Occorre comunque porre sempre al centro il “Sistema Paese”.

Nel pomeriggio si è tenuta una “Tavola rotonda sulle buone pratiche nei teatri operativi e definizione di un decalogo concettuale di linee guida”, cui hanno partecipato il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, il generale di corpo d’armata Claudio Graziano, il ministro plenipotenziario Giovanni Brauzzi e il moderatore del convegno Alessandro Politi. Il punto di partenza della discussione è stato un decalogo concettuale per le peacekeeping operations negli anni 2000, che trattava l’operatività in contesti di sovranità e potere diffuso, il cambiamento degli attori nel teatro d’operazioni, il calo della conflittualità in rapporto al calo dei finanziamenti, l’assenza di un ordine mondiale da cui attendere soluzioni, la solitudine di chi detiene il potere decisionale in un ambito con comunicazioni pervasive e contemporaneamente l’importanza della delega per un controllo fluido sugli eventi. Tra i punti toccati dal decalogo anche il ruolo dell’intelligence, la costante storica del mission creep, il problema della rotazione semestrale e il parallelo tra peacekeeping e guerra-ferma, che impone la preparazione di decisori ed opinione pubblica ad assumere le proprie responsabilità per un lungo arco di tempo. Invitati dal moderatore ad esprimere la propria opinione in merito al decalogo, i tre convenuti hanno fornito interessanti spunti di riflessione. “Concordo con l’approccio al decalogo – ha dichiarato il ministro Brauzzi – nonostante alcuni punti siano a mio parere da rivedere. L’assenza di denaro, ad esempio, non garantisce la diminuizione di conflitti, essendo comunque presenti i capitali delle organizzazioni criminali, che incrementano le guerre, mentre l’intelligence va distinta tra vecchia e nuova, tradizionale e telematica”. “Al decalogo manca indubbiamente un punto – ha proseguito il generale Graziano – , quello relativo alla stesura di un buon mandato, che deve precedere la missione e che è fondamentale per la buona riuscita della stessa. Per quanto concerne l’intelligence, è importante ricordare che in Italia la legge spesso non aiuta la buona riuscita delle operazioni, e che a tutti i livelli sarebbe importante sapersi mescolare alle etnie nei teatri di guerra, adottandone gli idiomi e le abitudini. La rotazione semestrale, infine, diventa un problema quando cambiano gli alti ufficiali, che hanno bisogno di quanto più tempo possibile per conoscere adeguatamente il territorio”. Il dibattito si è chiuso con le considerazioni dell’onorevole Crosetto, che ha evidenziato l’importanza di “regole univoche e vincolanti per quanto riguarda le missioni internazionali, così da poter stabilire in quali teatri intervenire, indipendentemente dalla volontà specifica dei singoli stati. Un ultimo centrale tassello da analizzare – ha concluso Crosetto – è quanto le missioni internazionali incidano dal punto di vista internazionale: l’Italia è una grande nazione e, se vuole continuare ad essere considerata tale, deve comportarsi di conseguenza”.

 

domenica 11 settembre

Nel giorno che ricorda il decennale dalla tragedia dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York.sono stati invitati nella cornice della Cittadella alessandrina due “Autori di pace”. Proprio “Senza pace, da Nassiriyah a Kabul storie in prima linea”, il libro di Andrea Angeli presentato al convegno in Cittadella da Francesco Semprini, corrispondente a New York de La Stampa, racconta di uomini e donne impegnati in missioni di pace visti da vicino con i loro dubbi, ansie, speranze, frustrazioni, tra successi e sconfitte. “Un modo discreto di informare, quello di Andrea Angeli, nel suo libro “Senza pace” che coinvolge fino all’ultima pagina, ti lascia con il fiato in sospeso. Questo libro – spiega Semprini – come il precedente – “Professione peacekeeper”(2005) – è ispirato a quei legami di semplicità quotidiani, unici nel loro genere. Il soggetto stesso dei racconti è avvincente per le sue avventure di funzionario a volte sotto il “cappello” Onu, a volte dell’Unione Europea che gira il mondo in missioni umanitarie spesso pericolose, e le racconta con una semplicità che rende leggera e piacevole la lettura”. Andrea Angeli , giornalista, addetto stampa e peacekeeper presso le Nazioni Unite, ha raccontato la sua vita “in prima linea”, le difficoltà che si trovano sul campo, le perdite con cui ci si deve confrontare ogni giorno, uomini pronti a sacrificare la propria vita per salvare i civili, per esempio nei campi minati. Un viaggio dal Cile alla Cambogia, da Sarajevo a Mostar, dall’Albania al Kosovo fino alla tragedia di Nassiriyah in Iraq, di cui è stato diretto testimone ed il conflitto in Afghanistan.

A seguire, Rosalba Malta dell’associazione alessandrina “Il Cantastorie”, ha presentato ”L’11 settembre di Eddy il ribelle”, un libro scritto da Edoardo Affinati per i giovani di oggi, con una visione “un po’ fantascientifica” dei tragici avvenimenti di quel lontano 11 settembre 2001. La storia di due ragazzi, Eddy e Matuzalem, che vivono su un altro pianeta chiamato Fulgor, dal quale scappano per arrivare proprio sul cielo di New York l’11 settembre 2011, dove comincia la loro avventura. Da lassù sono testimoni della tragedia, incapaci di spiegarsi cosa stesse succedendo né potevano agire in alcun modo, un po’ come i ragazzini, e anche gli adulti che in quel momento stavano guardando la tragedia in diretta televisiva e che neanche oggi sanno spiegarsi bene il perchè. Eraldo Affinati, grazie alla grande fantasia e l’esperienza acquisita come insegnate di italiano per ragazzi di tante culture diverse della Città dei Ragazzi con i quali è in contatto ogni giorno, racconta in questo romanzo a chi era ancora bambino nel 2001 il più grave attacco terroristico di tutti i tempi e il significato nella storia dei popoli del mondo. Nella sua carriera ha conosciuto ragazzi che sono spesso sopravvissuti alle guerre che hanno colpito il loro popolo, e sono scappati, molti hanno percorso migliaia di kilometri a piedi, come i ragazzi arrivati dall’Afghanistan soprattutto, e hanno raccontato la loro storia dell’11 settembre, i loro tragici vissuti e i motivi che li hanno spinti ad allontanarsi dal loro Paese, dalla loro famiglia. Nei libri di Affinati ci sono spesso spunti proprio dai vissuti di questi giovani, che hanno arricchito di umanità sia l’autore sia i lettori.

L’ultima giornata dedicata alle “Operazioni di pace nel XXI secolo. Ruolo e contributo dell’Esercito Italiano e delle Forze Multinazionali”, che ha riscosso un sorprendente successo tra i cittadini, si è conclusa con l’esibizione della Fanfara della brigata alpina “Taurinensee i ringraziamenti e i saluti del sindaco Piercarlo Fabbio. “E’ importante sottolineare come la Cittadella serva anche per approfondire questioni che non sono locali perché probabilmente il respiro sovradimensionale di questo luogo, rispetto alla città, ci permette di parlare,discutere, approfondire temi, come questi, di planetario interesse, come il peacekeeping e l’11 settembre, che è oggi. Ci rimane ancora una piccola vestigia di questa tre giorni perché ancora per un mese sarà visitabile la mostra di pezzi di artiglieria di epoca risorgimentale “Alessandria dei 100 cannoni” che riguardano la storia di Alessandria, che abbiamo richiamato il primo giorno a tutti per amore della propria città. Ci sentiamo una città non schiacciata nell’ambito locale, ma protagonista di tanti episodi della nostra storia,  protagonista proprio perché questi tre giorni sono stati dedicati all’Unità d’Italia, protagonista dell’Unità d’Italia – dai moti del 1821 fino ad arrivare alla spedizione di Crimea – come attestano quei cento cannoni donati da tutt’Italia ad Alessandria, una città di cui anche le altre città avevano buoni interessi ed alta valutazione. Questo lo diciamo tutti senza vanto né alcuna altezzosità ma con l’umiltà di coloro che hanno voluto insieme ad altri concorrere ad una nostra grande storia”, ha concluso il sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio.

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