Passano gli anni e cambiano i governi ma la censura politica alle guerre italiche è sempre basata su due i concetti chiave: negare anche l’evidenza e porre il bavaglio ai militari. Già nel 1991, all’indomani della Guerra del Golfo, Oriana Fallaci raccontò in un’intervista a Vittorio Feltri di aver potuto parlare con piloti di ogni nazionalità impegnati sull’Iraq tranne con quelli italiani ai quali era vietato da Roma il contatto con i media. Da allora le cose sono peggiorate.

Nel 1999 il premier Massimo D’Alema negò che i nostri jet bombardassero il territorio serbo sul quale invece sganciarono 800 bombe e missili. Nel 2004-2006, con il governo Berlusconi, i giornalisti vennero tenuti lontano da Nassiryah quando erano in corso scontri con i miliziani. Con l’ultimo governo Prodi vennero banditi i media al seguito dei contingenti in Iraq e Afghanistan e agli addetti stampa militari venne ordinato di tacere. Anche la guerra in Libia non fa eccezione nonostante il ministro Ignazio La Russa avesse iniziato il suo mandato accompagnando 16 giornalisti a Farah, una delle aree afghane più calde, annunciando trasparenza e dichiarando che “gli italiani combattono”.

Da allora sembra aver cambiato idea, come dimostrarono nel dicembre scorso le tensioni con i militari in seguito alla morte del caporalmaggiore Matteo Miotto, ucciso in Afghanistan. La Russa accusò i militari di non avergli fornito tutte le informazioni, il generale Vincenzo Camporini (allora alla testa della Difesa) rispose indignato e da quel momento i già tesi rapporti tra La Russa e i vertici militari sono andati peggiorando. Il ministro del resto ha deciso che parla solo lui di tutti gli aspetti più importanti. In febbraio ordinò il silenzio alla Marina dopo il sequestro della petroliera Savina Caylyn catturata dai pirati somali, forse per il mancato via libera politico al blitz delle nostre forze speciali che avrebbero potuto liberare nave ed equipaggio mentre erano in navigazione verso la costa somala con solo 5 pirati a bordo. Se il governo ha deciso di pagare il riscatto meglio che nessuno parli della vicenda. E’ il Gabinetto del ministro che da qualche mese controlla e coordina la comunicazione delle forze armate.

Così mentre i piloti alleati raccontano le loro missioni i nostri sono costretti a sfuggire a cameramen e giornalisti proprio come nel 1999, quando rientravano dai cieli serbi. Il maggiore Nicola Scolari, pilota di Tornado che aveva raccontato alla stampa una missione anti-radar è stato rimandato alla base di Piacenza. Durante la trasmissione “Matrix” il ministro La Russa impedì al conduttore di fare una domanda tecnica al colonnello Gabetta, comandante della base di Trapani e brillante ufficiale. Piloti e comandanti di Aeronautica e Marina imbavagliati. Ma cosa c’è da nascondere? Forse il fatto che, proprio come in Kosovo, i nostri aerei un po’ di missili li hanno sganciati? Il 20 marzo, al rientro dalle prime missioni lo Stato Maggiore Difesa rese noto che i Tornado Ecr “hanno portato a termine la loro missione di soppressione delle difese aeree presenti sul territorio libico” condotte con i missili aria-superficie Harm.

Dal giorno successivo il ministro ha messo a tacere i militari e ha smorzato i toni circa il ruolo dei nostri velivoli che, lo ha detto Silvio Berlusconi, ”non bombardano e non bombarderanno”. Come ha sottolineato su “Limes” Germano Dottori, attento analista strategico, “da quel momento, i Tornado non sopprimono più i radar di Gheddafi, ma si limitano a inibirne l’uso.

Arrampicandosi sugli specchi La Russa a “Porta a Porta” ha spiegato che gli Harm possono mettere fuori uso i radar libici “anche con il rumore”. In realtà un missile Harm contiene 66 chili di esplosivo e, a seconda delle versioni, dai 12 mila ai 25 mila pallettoni di acciaio e tungsteno. Nel raggio di qualche centinaio di metri chiunque non sia dentro un carro armato viene fatto a pezzi. Indicati per curare l’insonnia sono invece i comunicati stampa quotidiani corretti e approvati dal Gabinetto del Ministro. Sono tutti uguali, un giorno dopo l’altro, cambia solo il numero delle missioni eseguite ma non contengono informazioni sulla natura delle operazioni o delle minacce riscontrate. Siamo in guerra ma come al solito è meglio non dirlo.

Gianandrea Gaiani, 16 aprile 2011

Fonte: Libero

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