di Monia Savioli

E’ una situazione che perdura da tempo tanto da sembrare parte del grande capitolo dedicato ai conflitti fantasma diffusi nel mondo. Siamo nel nord della regione autonoma del Kurdistan, in Iraq, nel territorio di confine che separa il paese da Turchia e Iran corrispondente ai distretti di Soran e Mergasor. Un ambiente montuoso, difficile da vivere e da governare. Ed è lassù che dimorano, sparsi in villaggi, molte famiglie di umili pastori.

Quei valichi sono oggetto da molti mesi di continue violenze. Bombardamenti aerei e attacchi via terra che hanno provocato fino ad ora decessi e feriti fra la popolazione civile. Tre villaggi sono stati completamente evacuati. Cinquanta famiglie pari ad oltre 750 persone fino a un mese fa, costrette a ripiegare all’interno e vivere in condizioni precarie in tende improvvisate o ospiti di strutture pubbliche messe a disposizione dalle autorità delle cittadine interne. La distanza fra queste ed i luoghi bombardati è breve ma sembra  separare mondi diversi.

Warti Rawandor è uno dei  piccoli villaggi che ospitano le famiglie sfollate guidato da un sindaco donna, l’unica al momento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Il suo  nome è Kwestan Ahmad.  Warti Rawandor è situato a pochi chilometri dal confine, a metà strada fra le zone bombardate e il cuore della Regione. Non molto lontano dalle case sorge un parco giochi, moderno, con la ruota panoramica e tante attrazioni riservate a quanti possono permettersi di pagare il biglietto di ingresso.

Pochi minuti prima di raggiungerlo, avevamo percorso una strada appena colpita da un ordigno che ha inginocchiato le infrastrutture elettriche e distrutto una casa. L’intervento della sezione italiana dell’International Peace Bureau  – IPB –  la cui delegazione ha raggiunto Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno nell’agosto scorso, si inserisce in un percorso delineato dalla ricerca della pace. Un obiettivo che sembra lontano. Il passato del popolo curdo è costellato di attacchi e genocidi efferati che non hanno risparmiato neppure l’uso di armi chimiche.

A Hewa, parola che significa “Speranza” sono sepolti alcuni dei corpi degli oltre 8000 maschi di età compresa fra gli 8 e gli 80 anni della tribù di Mulla Mustafa Barzani, eroe dell’indipendenza curda e membro del PDK, Partito Democratico del Kurdistan attualmente guidato dall’attuale presidente del Kurdistan iracheno Mas’ud Barzani, sepolti vivi nel luglio del 1983. Vittime, come tanti altri del regime di Saddam Hussein.

Ad Hewa, una collina circoscritta da una rete e piena di lapidi sulle quale si staglia l’ombra della bandiera curda, si respira silenzio, tranquillità. Ma è impossibile non rabbrividire pensando all’orrore che ne ha causato la creazione. L’autonomia ottenuta dal popolo curdo in Iraq risulta scomoda per le altre nazioni nelle quali la comunità curda è divisa. Turchia e Iran, in particolare dove si concentra la maggior parte del popolo curdo, diffuso in misura minore anche in Siria. Paesi che ancora oggi non offrono ai curdi il riconoscimento di popolo.

La missione della sezione italiana dell’IPB guidata dalla presidente Fulgida Barattoni unitamente ha inteso affrontare la delicata questione degli attacchi ai villaggi curdi sulla linea di confine con Iran e Turchia. IPB-Italia sta infatti lavorando, tramite il supporto offerto dai rappresentanti locali dell’Associazione, con le rappresentanze politiche della zona per arrivare ad una soluzione del problema attraverso il dialogo.

Scrive in una lettera diretta al popolo curdo e alle Organizzazioni di Pace Mondiali il sindaco della città di Halabja, Kdher Kareem, rappresentante in Kurdistan di IPB e “Mayor for peace”: “La Turchia sta bombardando da tempo le frontiere del Kurdistan provocando danni molto gravi alla zona causando anche perdite umane. Queste azioni dell’esercito turco non sono nuove. Anche in passato ha bombardato ripetutamente la zona ed i civili hanno subito danni  di ogni genere….Per questo motivo noi, come Organizzazione dei Sindaci del Mondo per la pace e come IPB esprimiamo la nostra condanna del bombardamento e del penetramento del confine del Kurdistan da parte dell’esercito turco e lo consideriamo come un punto negativo sul futuro rapporto storico fra le due parti. Siamo convinti che l’uso della forza militare renda sempre la situazione più complicata e non risolva nessun problema, anzi chiuda la strada alla possibile risoluzione dei problemi. Chiediamo al Governo turco di usare il linguaggio della negoziazione e di scegliere la via della pace piuttosto che l’uso della forza militare per risolvere la questione curda”.

IPB Italia sta supportando la ricerca del dialogo attraverso un impegno vivo e tenace che porterà, probabilmente nel marzo dell’anno prossimo, alla realizzazione di una conferenza internazionale dedicata alla pace. Nel frattempo molti altri sono i progetti definiti per supportare la crescita sociale del paese. Uno degli impegni più importanti si concentra sulla lotta alla talassemia, malattia molto diffusa che conduce i bambini alla morte entro il decimo anno di età e che porterà in tempi brevi alla costruzione di un ospedale totalmente dedicato alla cura della talassemia. (29 settembre 2011)

 

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