“If you see something, say something” è l’arcifamoso ritornello che costantemente esce dagli altoparlanti della metropolitana di New York. Se vedi qualcosa di sospetto, avverti subito la polizia. Il blogger e tribuno della plebe conservatrice Matt Drudge lo ha usato come sottotitolo di attackwatch.com, l’ultimo stadio della sindrome d’accerchiamento mediatico di Barack Obama, il presidente che accusa Fox News di essere un network “distruttivo” e preferisce trattarlo come “un avversario politico”, salvo poi concedere interviste di tanto in tanto per ribadire l’equidistanza presidenziale. Nato sotto il motto illuminato “cogli i fatti, combatti le calunnie” AttackWatch è il grande collettore della verità obamiana, il portale in cui i sinceri democratici possono e devono contribuire per demistificare le campagne d’odio di quella che in lidi linguisticamente più sciatti si chiama la “macchina del fango”.

Funziona così: un privato fruitore incappa in una notizia calunniosa contro Obama e l’Amministrazione, in un’insinuzaione, in un rumor captato e messo in forma giornalistica e lo denuncia in modo pulito e anonimo agli zelanti fact checker di AttackWatch. A quel punto si attiva la macchina della contropropaganda, che ripubblica tutto ciò che il presidente ha detto e fatto su un dato argomento per smontare le tesi dei portatori di pregiudizi conservatore. Di fianco alla data di pubblicazione di ogni dossier demistificato campeggia la scritta “truth posted”, la verità rivelata e postata, riedizione pulita e democratica di un meccanismo che in altri tempi andava sotto la testata Pravda.

Al momento AttackWatch spiega come Mitt Romney e Rick Perry stiano mistificando i dati del piano Obama per rilanciare il mercato del lavoro, come la destra abbia inventato di sana pianta l’idea che il presidente abbia deteriorato i rapporti con Israele, come qualche attivista conservatore abbia messo in giro la voce che Obama voglia restringere i permessi per possedere armi. Oltre naturalmente ai cavalli di battaglia classici, tipo il certificato di nascita e il piano di salvataggio delle banche. Il sito è di fatto la versione estesa e amplificata di “Fight the Smears”, il portale istituito durante la campagna del 2008 per spiegare al paese che il candidato democratico non era stato educato in una madrassa pachistana. Jim Messina, il manager della campagna elettorale di Obama, ha detto che “il problema non è se spunteranno nuove buglie sul presidente, ma quando. Per questo dobbiamo essere preparati”. Il modo per ripulire l’onore pubblico del presidente è dunque quello di far cadere su ogni singola frase degli avversari – meglio se estrapolata dal contesto – una pioggia di documenti ufficiali che testimoniano il contrario. E poco importa che i documenti ufficiali di solito contengano un’ovvia percentuale di vacuità in quanto a contenuti.

Una sezione del sito è dedicata ai feed di portali amici come ThinkProgress e Media Matters for America che da anni lavorano per raddrizzare le versioni distorte dei giornali e delle televisioni dei cattivi. Il presidente e i suoi uomini coltivano un’ossessione per la rappresentazione giornalistica che supera di molto le ragioni elettorali: per questo hanno potenziato ThinkProgress e hanno applaudito Media Matters quando ha aperto una sezione dedicata esclusivamente alle brutture di Fox. Sembra un paradosso che il più mediatico dei presidenti abbia la fobia dei media, ma forse chi conosce i poteri più reconditi della comunicazione sa quando è il caso di scendere in campo per una lotta all’ultimo reportage. Anche se così facendo alimenta le voci di chi su questo tema lo considera un egocentrico alle soglie della paranoia: AttakWatch smentirà anche questo con le carte ufficiali.

Mattia Ferraresi, 15 settembre 2011

Fonte: Il Foglio

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here