Foto: Vasco Rossi riceve dal sindaco Sala la pergamena del Comune di Milano

Vasco Rossi a San Siro, una scaletta che punta il dito sul periodo in cui stiamo vivendo «Mi preoccupano le guerre, i populismi, i nuovi autoritarismi e le balle che raccontano»

di Andrea Marini

«Le chiavi di San Siro? Quelle le prendo… volentieri… Acquistarlo? Beh forse ci pensa il manager dei concerti… Io lo occupo e ci canto sempre…» Così, un sorridente Vasco Rossi ha risposto al sindaco di Milano Beppe Sala che gli allungava la pergamena della città per i suoi meriti artistici e il record, dei 36 concerti a San Siro, che toccherà a fine giugno dopo aver occupato lo stadio per 7 attesissime esibizioni tutte sold-out per un totale di 400mila spettatori. Il debutto è venerdì 7 giugno e alla vigilia dell’evento il rocker, ospite del Corriere della Sera, ha incontrato un ristretto numero di fans per raccontarsi e raccontare la “filosofia” della scaletta anzi la «social scaletta» del concerto di quest’anno.

«Se l’anno scorso era un concerto dedicato ai rapporti tra uomo e donna e soprattutto alle donne – ha spiegato Vasco – Quest’anno ho pensato a una scaletta decisamente più dura, che è figlia del momento in cui stiamo vivendo. E devo dire che è un momento che non mi piace. Un momento drammatico. Se mi avessero detto negli Settanta che oggi, nel 2024, saremmo arrivati a un mondo così non ci avrei creduto. Viviamo la dimensione più distopica e pazzesca che si potesse pensare. Stiamo tornando indietro di brutto». Ha sottolineando senza nascondere la preoccupazione «La retromarcia che preoccupa di più è il trionfo di questo populismo, – dice Vasco – questo sparare cazzate a ripetizione, di raccontare balle. Qui sembra che contino solo le balle, le fake news. Leggevo l’inchiesta della Gabanelli che parla dell’intelligenza artificiale applicata a disinformare le popolazione con le fake news, gli attacchi che ci arrivano dalla Russia. Qui ci stanno rimbambendo, lo eravamo già… a dire il vero. Ma adesso con i social le cose stanno peggiorando, la gente è incattivita, la gente è arrabbiata. E c’è chi, specie con la pandemia, ha cavalcato tutto questo. E oggi magari ce li ritroviamo anche al potere. Le democrazie cominciano ad essere in crisi…».

Tutto questo cercherà di cantarlo nel concerto di oltre due ore che si aprirà, al centro di un palco mastodontico e pieno di sorprese visual, con «la Combriccola del Blasco» brano dedicato ai suoi fans che «è diventata una sorta di inno contro il concetto dei pregiudizi che mai come in questo periodo sembrano veicolare i pensieri delle persone. Accadeva negli anni Ottanta con i mie primi “seguaci” è quanto mai vero, in generale, oggi». E a sorpresa come secondo brano in scaletta Vasco rispolvererà “Asilo Republic”. «Una canzone anni Settanta, nata con i movimenti studenteschi, gli scontri con la polizia, Pinelli che volava giù dalla finestra. Era una canzone allegorica: i bambini dell’asilo erano i movimenti studenteschi, i “fuochi” l’arrivo dell’eroina con tutto il male che ha fatto e la maestra era il potere. Quella maestra che oggi sul palco chiamerò Giorgia.. Si perché i movimenti studenteschi dei giovani sono tornati, così come le manganellate e la maestra è lei, che mani ai fianchi vuole ordine e disciplina con concetti che vengono da lontano. Noto una certa direzione autoritaristica, le libertà che vengono derise così come i diritti sociali. Un modo di fare tipico degli anni Venti. Ci vedo somiglianze notevoli». E ancora non mancherà il no alla guerra con Gli spari sopra «In Palestina è il disastro e il delirio – la guerra dovrebbe sere bandita dall’umanità, chi la dichiara va rinchiuso in manicomio».

Insomma Vasco “fotografo” della realtà «Io racconto il momento in cui viviamo, in un concerto che per il pubblico è un rito, un momento di comunione e liberazione che fa stare bene… Ecco i concerti dovrebbero passarli alla mutua, magari senza liste d’attesa». Ha detto tra gli applausi dei fan: «Ho il pubblico più bello al mondo e il fan club più numeroso. Un popolo che si immedesima e che si ritrova nelle mie canzoni. Dove trovano consolazione, conforto e anche rappresentazione di quelle che sono le problematiche che hanno tutti. Io racconto cosa accade a me, loro capiscono subito cosa voglio dire, senza fraintendimenti. Sentono che quello che canto arriva dal fegato, dallo stomaco, dal profondo: questo è il segreto».

Fonte: Gazzetta di Modena

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