di Giancarlo Capozzoli

D: Sottosegretario, la guerra della Russia resta una questione centrale nel dibattito pubblico legata anche a questioni di pace e stabilità dell’Europa. La mia prima domanda è: perché è necessario inviare aiuti in Ucraina?

R: Se non si può sapere quale sarà il futuro di questo conflitto, certamente si possono capire quali sarebbero le conseguenze oggi se noi non sostenessimo l’Ucraina, come stiamo facendo da più di un anno, nella sua legittima autodifesa, così come sancito dall’ONU. Le situazione di crisi del recente passato verificatesi in aree che si trovano a breve distanza dai nostri confini ci hanno lasciato importanti insegnamenti. Tra questi, l’importanza che la nostra comunità fatta dai Paesi occidentali continui a rappresentare un riferimento fondamentale per tutti i Popoli, un baluardo di civiltà, in difesa dei diritti sanciti dalla Carta ONU affinchè non venga mai pregiudicato il diritto naturale di autotutela nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite. Ciò rappresenta un caposaldo per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Dobbiamo tenere a mente quando accaduto nei recenti conflitti siriano o libico, in cui per certi versi si sono autodeterminati attori che agiscono sull’equilibrio e sulle influenze in quei Paesi, dove un tempo invece l’Italia – pensando in particolare alla Libia – esercitava una autorevole influenza stabilizzatrice e rappresentava un partner affidabile. Forse è stato anche questo uno dei fattori che hanno favorito la percezione, da parte della Federazione Russa, che l’intervento in Ucraina non avrebbe avuto, come conseguenza, una reazione da parte dell’Occidente come quella che invece c’è stata. Credo però che sia responsabilità della politica e del nostro Paese fare scelte di indirizzo a tutela di quei valori su cui si fonda la nostra Repubblica, che sono i valori per cui tanti italiani hanno perso la vita in passato e sono i valori della democrazia. Oggi vi sono, da una parte, le democrazie e, dall’altra, i regimi autoritari, che cercano di imporre con la propria forza un concetto di politica estera evidentemente molto diverso dal nostro, in particolare da quello italiano, che si fonda ovviamente sull’articolo 11 della Costituzione. Il Governo sta mettendo in campo tutti gli sforzi possibili perché ci si possa sedere intorno a un tavolo per un negoziato di pace, eventuali imposizioni di condizioni, però, agli ucraini non sarebbero una vera pace, ma una resa e una sconfitta e credo che sia sacrosanto diritto di un Paese aggredito, quando ci sono una palese violazione del diritto internazionale, come in questo caso, e una palese violazione dei confini nazionali, difendersi e che sia responsabilità di chi crede nei valori di libertà sostenere questa difesa. È quello che stiamo continuando a fare, che ha fatto il Governo Draghi, che fa il Governo Meloni e che sta facendo questa maggioranza ed è quello che deve fare l’Italia. Tutti vogliamo che questo conflitto, che ha ripercussioni drammatiche sui cittadini ucraini, come sui cittadini di tutto il mondo, per l’instabilità che sta portando, per la crisi che ne consegue, cessi il prima possibile, ma tenendo fermo il faro del diritto internazionale. Non può essere che un Paese ne invada un altro e noi (anche geograficamente molto vicini) si rimanga immobili a guardare la sconfitta dell’Ucraina. Non dovrà succedere oggi e non succederà mai.

D: La guerra Russo Ucraina sta influenzando le scelte di investimento nel settore Difesa?

R: La guerra Russo Ucraina ha già influenzato le politiche di molti di stati, soprattutto nel campo della Difesa, anche se la guerra dovesse miracolosamente finire domani. L’aggressione russa ha dimostrato che le democrazie devono essere in grado di difendersi, ma anche che gli sviluppi tecnologici hanno aumentato la possibilità che uno scontro armato si traduca in battaglie di logoramento e combattimenti ad alta intensità. A prescindere da come andrà finire il conflitto, è certo che sarà necessario fare delle importanti riflessioni e approfondimenti sul tema degli equipaggiamenti militari, in termini di capacità delle industrie nazionali, sulla disponibilità di materie, sulle tempistiche di produzione e sulla capacità tecnologica. Come affrontare questa prospettiva richiede un dibattito che deve essere essenzialmente politico; servono soluzioni che non possono essere solo tecniche (come Industria 4.0 o modelli di supply chain management integrati). Ritengo opportuno rinnovare il concetto che dietro alla realizzazione degli equipaggiamenti e ai sistemi destinati alla difesa nazionale c’è anche tanto lavoro di approfondimento e sperimentazione di tecnologie innovative che spesso premiano i nostri ricercatori. Peraltro, l’uso duale delle tecniche di questi sistemi offrono tanti soluzioni che soddisfano le esigenze del mondo civile e dell’intera collettività.

D: Il fattore chiave rimane quanto investire, il 2% del PIL è una base di partenza…

R: Serve continuità, bisogna accelerare per avere una Difesa efficace e al passo con i tempi con una capacità di sopravvivenza alta e che si alimenti molto rapidamente attraverso le Industrie Nazionali di settore. Deve essere una squadra dove ogni giocatore si tiene per mano e non spezza la catena. Finché si parlerà di Spesa e non di Investimento non saremo ancora al passo con i tempi.

D: Recentemente è stato in India. Dopo il suo viaggio è stato anche al SDTS23 di Singapore. Quali sono i rapporti Italiani con il SudEst asiatico e perché sono importanti?

R: La regione dell’Indo-Pacifico rappresenta un’area di crescente attenzione internazionale grazie al costante aumento degli scambi commerciali, nonché alle criticità di governance dei Paesi che insistono nella macro-regione. Essere presenti in un’ area nella quale si sta sviluppando un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali, provando al tempo stesso ad assumere sia un significativo ruolo diplomatico che a promuovere relazioni commerciali per le proprie imprese è di vitale importanza per il governo italiano e per l’UE. Parliamo di area geografica che ospita oltre il 50 % della popolazione mondiale, due terzi del commercio mondiale di container passa attraverso la regione indo-pacifica e le sue rotte marittime sono importanti per il commercio e l’approvvigionamento energetico. Ho avuto modo di visitare, proprio ambito STDS23 a Singapore, la realtà portuale, parliamo del primo porto al mondo per movimentazione e ricezione container, tra l’altro in espansione. La strategia dell’UE per la cooperazione nella regione indo-pacifica è stata adottata nel settembre 2021 per aumentare l’impegno dell’UE, creare partenariati e rafforzare l’ordine internazionale basato su regole, nonché affrontare le sfide globali. L’Unione sta ultimamente adattando i suoi attuali strumenti per sostenere l’autonomia strategica dell’UE. Il suo documento una bussola strategica per rafforzare la sicurezza e la difesa, formalmente approvato dal Consiglio nel marzo 2022, promuove un’architettura di sicurezza regionale aperta e basata su regole, comprese rotte marittime sicure, lo sviluppo di capacità e una presenza navale rafforzata nella regione indo-pacifica.

D: L’Unione europea sta rafforzando le relazioni con i paesi dell’Asia sudorientale…

R: Sta promuovendo l’integrazione regionale con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). La regione è fonte di preoccupazioni di natura geostrategica, ad esempio la controversia sul Mar cinese meridionale e la questione di Taiwan, come pure di preoccupazioni di natura ambientale, in particolare nella sottoregione del Mekong. Nell’Asia sudorientale, l’UE è un forte attore economico e uno dei principali donatori di aiuti allo sviluppo che opera per promuovere il consolidamento delle istituzioni, la democrazia, la buona governance e i diritti umani. Ha mobilitato un pacchetto di oltre 800 milioni di € per affrontare la pandemia di COVID-19 nella regione e per attenuarne l’impatto socioeconomico. E come Italia, oltre a tutto questo, abbiamo circa 300 aziende importanti e PMI che hanno già consolidato programmi importanti con forti investimenti dalla controparte soprattutto ambito Difesa. Se volessi sintetizzare tutto in una frase, durante il mio recente viaggio a Singapore e in occasione degli incontri con i rappresentanti di altri Paesi, ho sentito tanta “richiesta di Italia”.

D: Sta nascendo un Polo nazionale della dimensione subacquea (PNDS) a La Spezia, una grande novità. Quali saranno i suoi compiti?

R: Allo scopo di valorizzare, implementare e promuovere le potenzialità e la competitività del nostro Paese nel campo dell‘underwater è stato approvato un emendamento alla Legge di Bilancio 2023-2025 che prevede l’istituzione del Polo nazionale della dimensione subacquea nella sede di La Spezia sotto la supervisione e il controllo della Marina Militare, e verrà inaugurato a giugno di quest’anno. È stato già individuata la sede ideale nel Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN) sia per le attività attualmente svolte dallo stesso Centro sia per la vicinanza ad altre strutture e infrastrutture con interessi affini agli obiettivi prefissati. Il CSSN è polo di eccellenza (civile e militare) della Marina militare che gestisce già i processi di ingegneria del supporto logistico per lo strumento navale ed è, inoltre, centro per la sperimentazione e lo sviluppo dei programmi scientifici e tecnologici della Marina Militare anche nel settore ambientale (marino) in forza dell’accordo di cooperazione siglato con il Centro di ricerca e sperimentazione marittima della Nato. Per mantenere la sovranità tecnologica occorrerà sviluppare la capacità di percepire con immediatezza (meglio anticipare) le direttrici di sviluppo tecnologico, sviluppando al contempo efficaci misure per sfruttarne le opportunità con effetti sul piano militare, dove iniziano a definirsi scenari in cui nel campo di battaglia sono presenti minacce ibride, spinta competizione per l’accesso alle risorse naturali (ovunque esse si trovino), sfruttamento dei domini cibernetico, spaziale e cognitivo, intensificazione della presenza nell’underwater, e dell’uso dei vettori unmanned. Il Polo Nazionale della dimensione Subacquea sarà determinante per lo sviluppo coordinato di un cluster underwater che metta a disposizione della collettività uno strumento operativo, e funga da stimolo ed indirizzo per l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico.

D: Ultimamente mi è capitato di approfondire con autorevoli interlocutori la questione della CyberSecurity. Cosa accade quando la dimensione Cyber incontra il mare?

R: I processi di diffusione delle innovazioni tecnologiche creano una società sempre più interconnessa, questo scenario necessita di dotare tutti i sistemi di idonea protezione dalla minaccia cibernetica. Rafforzare l’industria europea per sicurezza e difesa sui temi cyber potrà consentire all’Europa di maturare capacità strategiche autonome attraverso la convergenza di requisiti e la definizione di priorità condivise. Spesso, parlando di cybersicurezza, viene quasi istintivo pensare a quanto avviene nella dimensione terrestre o aerea, senza invece considerare che il mondo delle cibernetica interessa in modo rilevante il dominio del mare e dell’underwater. Basterebbe ricordare che il 98% delle telecomunicazioni digitali viaggia tramite dorsali marine attraverso cavi sottomarini per oltre 1,2 milioni di chilometri per acquisire l’immediata consapevolezza di quanto sia urgente sviluppare efficaci sistemi di cybersicurezza nel dominio underwater. E’ necessario un approccio proattivo, che si può racchiudere nel termine “fare sistema”, una necessità che deve concretizzarsi per mettere a disposizione dell’Italia il meglio delle tecnologie e delle intelligenze, realizzando strette sinergie tra il settore pubblico e privato in grado di coinvolgere le pubbliche amministrazioni, le università i cittadini e le aziende per far sì che ciascuno di loro si senta parte di un ingranaggio per concorrere al raggiungimento degli obiettivi in tema di sicurezza cibernetica. Quando il Cyber tocca il mare si assiste a una inedita connotazione del dimensione cibernetica, la possiamo definire la “Cyber-Underwater”. La Marina militare ha un ricco e consolidato patrimonio di competenza del mondo underwater, frutto di una secolare esperienza fatta dai nostri equipaggi e con i mezzi, spesso innovativi per concezione e tecnologia applicata al mare. La consapevolezza di quanto si impegnativo contrastare le minacce sottomarine e del potenziale rischio che queste minacce rappresentano per i nostri interessi nazionali, ci impone l’urgenza di attuare azioni concrete per fornire risposte a nostri concittadini, attraverso iniziative finalizzate ad elevare la sicurezza delle nostre infrastrutture strategiche. A tale riguardo ritengo opportuno ricordare che nel mondo della subacquea risiedono anche molte risorse e spazi inesplorati che possono rappresentare una contributo importante verso l’importante obiettivo di conseguire l’indipendenza energetica e per l’approvvigionamento di materie rare. Il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea a cui facevo riferimento prima avrà anche questa missione, di preservare l’Underwater da un punto di vista ambientale e in termini di cybersecurity.

D: Quanto è importante la centralità del Mediterraneo in termini economici, di sicurezza, di collegamenti e di flussi migratori?

R: Il “sistema Mediterraneo” è attualmente sottoposto a un forte stress, politico, sociale, economico, commerciale ed energetico. Deve superare la crisi economica e il problema della dipendenza energetica, le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e di semiconduttori, l’accesso sempre più critico alle risorse idriche e alimentari, la sicurezza delle vie di comunicazione e la protezione delle infrastrutture critiche sottomarine. Acqua ed energia sono i due elementi chiave che determineranno, e che già ora determinano, l’insorgere di instabilità, emergenze e sfide sempre più pressanti e urgenti. Lo sappiamo, ma non dovremo mai stancarci di ricordarlo in ogni occasione, che tutti i Paesi dell’area mediterranea sono minacciati dalla scarsità d’acqua e si trovano ad affrontare, da un lato, l’aumento della domanda di risorse idriche e la concorrenza tra i diversi utenti: condizioni che costringono i governi a cercare alternative diverse dalla costruzione di nuove dighe e infrastrutture per i trasferimenti energetici interregionali. Dall’altro lato, gli Stati devono affrontare una situazione che sta peggiorando sotto l’effetto del cambiamento climatico e della cattiva gestione delle risorse idriche. Relativamente al contesto energetico, l’area mediterranea è caratterizzata da un notevole aumento delle importazioni di energia convenzionale: l’80% dei Paesi del Mediterraneo occidentale sono grandi importatori di energia fossile. Una situazione che richiede soluzioni alternative per soddisfare l’aumento del fabbisogno energetico ed evitare la produzione eccessiva di gas serra, con uno sguardo rivolto verso l’alternativa delle energie rinnovabili.

D: Il Mediterraneo è il punto di congiunzione di tre continenti…

R: Nonché la rotta più rapida, sicura ed economica tra Indo-Pacifico e Atlantico: una via di transito che, da sola, ospita circa il 20% del traffico marittimo mondiale. Non sorprende, quindi, che catalizzi l’interesse di attori con ambizioni globali e obiettivi connessi al controllo delle materie prime e alla disponibilità di vie commerciali, o impegnati ad aumentare la propria influenza in questo quadrante, anche attraverso la presenza militare. Occorre perciò prestare la massima attenzione e vigilare, anche nell’interesse della pace, oltre che della tutela degli interessi nazionali. La nostra sicurezza è legata a doppio filo alla stabilità di questo Mare e a quella delle aree limitrofe. L’aggressione russa all’Ucraina, che porta comprensibilmente il nostro sguardo a Est, conferisce una ancora maggiore centralità al Mediterraneo, Fianco Sud della NATO, avendo un’influenza significativa sulle sue dinamiche. In primo luogo, evidenzia la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. Inoltre, minaccia di avere ripercussioni sul commercio mondiale delle derrate alimentari, con conseguenze particolarmente negative sulle realtà economicamente più fragili, a partire dall’Africa. È uno scenario che annuncia ricadute umanitarie, a partire dai flussi migratori, che la Comunità internazionale deve prepararsi a gestire e che possono avere impatti sulla nostra sicurezza.

D: Secondo Lei, quanto è importante la Comunicazione per la Difesa? Voglio dire… spesso sembra che tutto quello che facciamo in ambito Difesa non emerga nella sua complessità…

R: E’ molto importante, per vari aspetti, uno su tutti quello della Cultura della Difesa, per molti anni i nostri Uomini e Donne con le stellette hanno lavorato in silenzio e non vi era visibilità del loro operato con un effetto negativo su loro e su chi si vuole avvicinare a questa professione fondamentale per la sicurezza e il futuro del Paese. I numeri dei nostri militari impegnati in Italia e nel mondo, per un Paese relativamente piccolo geograficamente, sono notevoli, ma quello che, oltre a ciò, riescono a fare le forze armate è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alla recente pandemia dove più di 10000 militari hanno supportato la collettività con Posti Medici Avanzati, Hub vaccinali, consegna dispositivi farmaceutici e vaccini su tutto il territorio, oppure alle alluvioni, ai terremoti alle calamità in genere che hanno colpito migliaia di cittadini che hanno visto personale in divisa aiutarli ogni tempo. Sono molte belle le espressioni di riconoscenza e vicinanza fatte dai nostri cittadini al personale con le stelle soprattutto in occasione delle manifestazioni connesse alle ricorrenze del 2 giugno o del 4 novembre. Ritengo necessario che ci sia un continuo interesse da parte dei media e proattività da parte delle FFAA nel dire cosa fanno i loro cittadini speciali a favore degli interessi della collettività. Certamente spesso si è orientati sulla scoop o sulle notizie che hanno peso politico o fanno clamore, tendenzialmente c’è orientamento su informazioni che creano tendenza, con la conseguenza che l’operato dei nostri militari diventi una semplice routine, che non fa notizia e spesso dimenticati se non vincono medaglie.

D: Molti militari, uomini e donne della Difesa sono impegnati in missioni nazionali e internazionali. Lei ne ha visitati alcuni, cosa ha visto in loro? Cosa ha percepito incontrandoli?

R: Sono quasi 14000 i militari impegnati in Italia e all’estero in questo momento e che trascorreranno le festività lontano dai loro affetti e vicini ai loro colleghi nei teatri operativi. Parliamo di 36 missioni in 20 paesi diversi dove le operazioni maggiori sono in Libano nelle due missioni UNIFIL e MIBIL con circa 1330 militari, in Kosovo, dove abbiamo la guida della missione Kfor e quasi 900 militari delle nostre Forze Armate; sono 650 quelli in IRAQ e Kuwait e sono circa 1200 tra Bulgaria, Lettonia e Ungheria tra le missioni più recenti di vigilanza avanzata. Circa 400 uomini e donne della Difesa sono impegnati in Libya nella Missione MIASIT di assistenza e supporto al popolo libico e poi abbiamo personale in Somalia, nella Base Logistica di Gibuti, nel Sahel tra Niger e Mali, in Palestina e in Egitto. Senza dimenticare il significativo numero di Marinai impegnati in Mediterraneo sicuro (circa 800) in EUNAVFORMED l’operazione Irini sempre nel Mediterraneo (400 circa), e quelli nella forza Nato in mare (235) e numerose altre missioni minori nel mondo insieme al costante impegno nazionale di Strade Sicure dove i cittadini con le stellette impegnati sono 5000. Sono stato in visita in alcuni teatri operativi, ogni volta è stata una grande emozione, ho guardato negli occhi uomini e donne nelle loro divise, ho visto motivazione, determinazione, sono persone speciali che fanno una professione difficile e delicata, fatta di sacrifici e rinunce e la cosa ancora più bella è che la fanno da Italiani, essere Italiani in quel tipo di missioni è un valore aggiunto non solo per l’alta professionalità ma anche per come interagiscono con i popoli di dove si va a operare. Sono l’orgoglio della Nazione, sarebbe da urlare.

D: In conclusione, possiamo chiederci dove sta andando la Difesa nazionale e quali sono le prospettive per il futuro?

R: La Difesa può andare in solo una direzione, per il bene del Paese, e deve essere quella dell’efficacia, della crescita e della sostenibilità mantenendo una sovranità tecnologica tale da non avere debolezze penetrabili. Il conflitto alle porte ci sta dando una lezione importante, come tutte le crisi fanno, senza uno strumento militare difensivo efficace, integrato e multidominio non siamo al sicuro, non sono al sicuro i nostri figli e si compromette il futuro della Nazione. Per questo l’obiettivo di incrementare le risorse da destinare ai programmi di investimento, auspicabilmente per raggiungere almeno il 2% del PIL, è un buon punto di partenza, soprattutto per essere coerenti agli occhi dei nostri alleati (NATO e EU); ma ciò non basta. Bisogna lavorare per una maggiore sinergia delle componenti militari in termini interforze ed accelerare i processi per essere più rapidi ed efficaci nei domini cyber, spazio e underwater; bisogna aumentare lo sviluppo capacitivo (e conseguente effcacia d’impiego dello strumento militare) con finanziamenti certi e stabili, con autonomia strategica nella ricerca scientifica e tecnologica in collaborazione e sinergia con mondo accademico, centri di ricerca e comparto industriale; bisogna aumentare la rapidità dei processi decisionali con un organizzazione più flessibile orientata all’innovazione, poi dobbiamo aumentare la capacità della Difesa nazionale di influenzare processi, operazioni e missioni nei consessi internazionali cui già partecipiamo e nei rapporti bilaterali, e infine, stressare la credibilità dello strumento militare avvicinando il più possibile il livello di ambizione dichiarato alla realtà gestendo in modo migliore le risorse a disposizione (personale) in termini di addestramento e impiego, possibilmente in una logica di rispetto dell’ambiente (green defence) e diffondendo una cultura della Difesa efficace. Gli investimenti nel settore Difesa incrementano i livelli occupazionali e dunque le entrate, ma soprattutto rendono l’Italia e gli Italiani più sicuri.

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