Mettere in ginocchio l’impero. “Il fondatore di al Qaida aveva capito che, come l’Unione sovietica, gli Stati Uniti non avrebbero avuto pazienza”

“Nel suo discorso dopo la sanguinosa débâcle all’aeroporto di Kabul, il presidente americano Joe Biden ha presentato una visione sobria delle nuove realtà della politica estera americana che sia i liberal che i conservatori sembrano restii ad accettare: che l’epoca in cui gli Stati Uniti potevano plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza è finita; che le guerre sanguinose e fallimentari nell’Asia profonda sono un lusso che l’America non può più permettersi; e che nel frattempo la missione in Afghanistan, che con il passare dei giorni è cresciuta nelle dimensioni e nei costi, è stata una trappola gigantesca”. Così inizia l’articolo di Aris Roussinos (nella foto) sul sito UnHerd. Biden ha detto che “la decisione sull’Afganistan non riguarda solo l’Afghanistan. Si tratta di concludere un’era di interventi militari importanti in altri paesi”.

La fase dell’imperialismo liberale è terminata, e l’epoca della competizione realista tra grandi potenze ha avuto inizio. Secondo UnHerd, l’analisi di Biden viene paradossalmente condivisa dall’architetto della guerra al terrore dell’America e del grande massacro a New York che l’ha propiziata: Osama bin Laden.

Mettendo insieme i temi toccati da bin Laden nella sue varie dichiarazioni al mondo occidentale emerge un piano concreto attraverso il quale “lo schiavo di Dio” ha provato ad accelerare il tracollo dell’impero americano imbrigliandolo in una guerra lunga, invincibile e costosa nel mondo islamico. Secondo il capo di al Qaida l’America avrebbe dovuto fare la stessa fine dell’Unione sovietica, il cui ritiro dall’Afghanistan aveva preceduto e in parte causato il suo declino imperiale. Questo è ciò che ha detto bin Laden in un’intervista risalente a un mese e mezzo dopo l’attacco delle Torri gemelle: “L’Impero sovietico è diventato una finzione dell’immaginazione. Oggi non esiste un impero sovietico: si è frammentato in stati piccoli ed è rimasta la Russia… quindi crediamo che la sconfitta dell’America sia qualcosa di fattibile – con l’aiuto di Dio – e che sarà più facile – con l’aiuto di Dio – della sconfitta dell’impero sovietico”.

Quando gli hanno chiesto il motivo di questa sua convinzione, bin Laden ha puntato il dito verso la ritirata americana in Somalia. Questo episodio veniva spesso usato dal terrorista saudita per convincere gli scettici a seguire il suo piano. Bin Laden ha scelto l’Afghanistan come il teatro di guerra che avrebbe portato al collasso dell’impero americano, contando sul fatto che la guerra al terrore fosse un gigantesco pozzo di denaro che con il passare del tempo avrebbe prosciugato le risorse degli Stati Uniti. Nella sua lettera agli americani del 2002, bin Laden ha scritto che le guerre in medio oriente “hanno inflitto delle perdite umane, finanziarie e politiche all’America senza che loro potessero ottenere nulla di degno di nota, tranne che dare lavoro alle loro aziende private’. Nella sua rappresentazione della guerra al terrore come un progetto mastodontico e lucrativo, bin Laden si fa precursore di critiche analoghe che negli anni verranno espresse anche dalla sinistra anti interventista.

Le guerre sono costate caro all’America, che si è indebitata a livelli insostenibili e non ha capito che la vera minaccia arrivava dalla Cina, che in questi anni ha eguagliato la potenza industriale di Washington. Secondo Roussinos, i conflitti degli ultimi vent’anni non hanno causato il collasso americano esattamente nelle modalità previste da bin Laden, ma hanno sicuramente indebolito la superpotenza nella competizione per l’egemonia globale. Come ha notato lo stesso Biden nel famoso discorso in cui ha annunciato la ritirata, questa scelta era necessaria perché “dobbiamo rafforzare ulteriormente i nostri punti di forza per essere all’altezza della competizione con la Cina…”. Nel frattempo il dibattito interno in America si è polarizzato, e questo malessere popolare è un motivo di celebrazione per gli estremisti di al Qaida. In un video di propaganda recente, al Qaida si è soffermato sulla crisi della democrazia americana, che si trova sull’orlo di una guerra civile. Gli estremisti islamisti hanno denunciato le collusioni tra l’apparato di sicurezza americano e “la stampa liberal che controlla l’industria dei media americani”. Questo, secondo gli islamisti, farà “implodere” l’economia statunitense, proteggendo gli interessi del grande capitale e della Cina comunista. “La saggezza di Allah – ha scritto al Qaeda – ha voluto che il quarto aereo (…) non raggiungesse il suo bersaglio, lasciando che gli americani distruggessero l’edificio simbolo della loro democrazia con le loro mani”.

Cos’è l’America vent’anni dopo l’11 settembre?, si domanda Roussinos. Un’impero militare globale che non riesce più a vincere guerre. Dato che l’élite militare americana non riesce nemmeno a organizzare un’evacuazione in un aeroporto che controlla e seguendo una tabella di marcia di cui era a conoscenza da tempo, possiamo davvero stare sicuri che riuscirebbero a sconfiggere una Cina competente e ben preparata in un ipotetico conflitto?

Il declino americano, sostiene UnHerd, è un prodotto delle “guerre trappola” e dunque il ritiro dei soldati statunitensi dall’Afghanistan potrebbe rivelarsi un momento di riequilibrio, che porterà l’America a concentrarsi sulle minacce più incombenti. Da questo punto di vista, Biden è esattamente ciò di cui gli americani avevano bisogno: un realista cauto, portato al trionfo da un establishment liberal-imperalista, che oggi interpreta la parte del curatore fallimentare di una ex grande potenza in declino. “Il lustro dell’impero americano è stato macchiato, ma la struttura di fondo potrebbe reggere per i prossimi decenni – conclude UnHerd – L’America ha smarrito la sua pretesa alla leadership globale, ma ha anche perso il desidero di giocare questo ruolo. Abbandonando le guerre fallimentari dell’America per concentrarsi sulla decadenza domestica, Biden ha finalmente esorcizzato il fantasma di bin Laden vent’anni dopo il massacro dell’Undici settembre”. (Traduzione di Gregorio Sorgi)

Fonte: Il Foglio

Foto: The Sydney Morning Herald

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