di Massimo Cutò

“È come ricomporre le tessere di un puzzle millenario. Un’impresa unica e affascinante, il sogno di una vita”. Stefano Trucco, classe 1953, architetto nato a Venezia ma trapiantato a Torino, è il presidente del Centro conservazione e restauro della Venaria Reale. La sua squadra e quella archeologica della Sapienza di Roma hanno un compito difficile e prestigioso: riportare allo splendore primitivo il Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Come avete avuto l’incarico?
«Abbiamo messo in campo competenza e pubbliche relazioni. Trovando un terreno fertile nel riavvicinamento fra le tre comunità cristiane che sovrintendono al luogo sacro per eccellenza: il Patriarcato greco-ortodosso, la Custodia di Terrasanta, il Patriarcato armeno. Confesso che al momento della firma mi tremavano le mani. E la notte non ho dormito per l’ ansia e la responsabilità».

In che cosa consiste esattamente il vostro lavoro?
«Dobbiamo sistemare il camminamento interno alla Basilica che racchiude, dentro l’ Edicola, il sepolcro di Cristo. Il pavimento è molto compromesso: è stato rattoppato alla meno peggio nei secoli, ci sono lastroni sconnessi e pezzi mancanti. L’ obiettivo è mettere ordine, ripristinando per quel che si può la struttura originaria e assicurando nel contempo l’ agibilità del percorso ai pellegrini. Un lavoro di rammendo, direbbe Renzo Piano. Con l’ emozione di sfogliare un libro di storia vecchio di duemila anni segnato da imperatori, papi, califfi e crociati».

In che modo vi muovete?
«Con il laser scanner facciamo una mappatura pietra per pietra, in modo di datarle e capire le stratificazioni che si sono succedute nel tempo. Ci sono ancora alcune di quelle poste nel 325, quando Costantino dopo il Concilio di Nicea ordinò di edificare la chiesa sui luoghi della Passione. Useremo georadar e fotogrammetria, per arrivare a un modello tridimensionale con l’ ausilio di Cnr e Politecnico di Milano. Niente carotaggi, nessuna diagnostica invasiva: Maria Cardinali, direttrice dei laboratori di restauro che ha lavorato nel Santo Sepolcro già nel 2013, è andata nelle cave di Gerusalemme per cercare pietre antichissime da inserire nel pavimento».

A fianco avete agli archeologi della Sapienza: come dividete il lavoro?
«I due interventi sono complementari. Finito il nostro studio, loro solleveranno il pavimento della Basilica per capire che c’è oltre ai materiali di scavo».

E voi cosa vi aspettate di trovare nell’ area sottostante?
«Lì passano tutti gli impianti di servizio alla basilica: quelli idraulici, lo smaltimento delle acque piovane, i cavi dell’ elettricità che sono vecchissimi. Abbiamo verificato la presenza di un’ infinità di tombini che non venivano aperti da 500 anni…»

Quali sono le difficoltà maggiori?
«Dal punto di vista tecnico, mettere ordine. Per dire: il Santo Sepolcro è il luogo più importante della cristianità, eppure non c’ è neppure un antifurto. Soprattutto manca un apparecchio per la rilevazione dei fumi, rischio enorme considerando le candele accese ogni giorno e il sacro fuoco che arde durante la Pasqua. Poi c’ è l’ acqua: scorre anche sotto l’ Edicola che avvolge il sepolcro. Serve un’ analisi strutturale di stabilità anche perché il sottosuolo somiglia al groviera piuttosto che a un panettone, c’ è un intrico di grotte».

E l’organizzazione del lavoro?
«È uno slalom. I pellegrini hanno accesso alla basilica dal mattino fino alle 8 di sera. Poi le tre comunità cristiane provvedono a risistemare: spargono petrolio sul pavimento per pulirlo. A quel punto tocca a noi. Abbiamo a disposizione solo tre ore, perché a mezzanotte riprendono le funzioni religiose».

Ha visto le immagini della basilica serrata nelle festività?
«L’effetto del virus è stato la chiusura totale. Accesso vietato anche ai custodi, padre Pizzaballa e padre Patton. Noi siamo venuti via a fine febbraio, il sogno è che si riapra a settembre».

Il vostro lavoro è a metà fra Indiana Jones e l’ artigiano restauratore: rimpianti per non poter studiare il sepolcro di Cristo nell’ Edicola?
«Antonia Moropoulou, ingegnere chimico del Politecnico di Atene, ha avuto questo privilegio durante gli scavi del 2016. Lei ha toccato la pietra della deposizione. A noi resterà il desiderio irrisolto di investigare sul grande mistero».

Fonte: QN

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