24 gennaio 2013. Mentre la politica avanza dubbi e medita marce indietro, militari ed industrie della Difesa sono compatti: il programma dei caccia F-35 e’ ”indispensabile”. Per la sicurezza futura del Paese ed anche per i ritorni occupazionali e l’affermazione del made in Italy in un settore strategico come quello degli armamenti.

L’appello viene lanciato da quella che sara’ una delle due culle del mega-programma (15 miliardi di euro per 90 velivoli a livello nazionale, 4.000 aerei complessivamente nel resto del mondo): Cameri, nel novarese. L’altra e’ a Fort Worth, in Texas. L’aeroporto militare della cittadina piemontese – aperto ieri per un media tour – e’ un cantiere dove ferve l’attivita’ di allestimento degli hangar che assembleranno i velivoli: tutti quelli italiani piu’ gli 85 prenotati dall’Olanda.

I 90 F-35 sono destinati a sostituire nei prossimi 15 anni 253 aerei ormai vicini all’eta’ della pensione: gli AV8-B della Marina Militare e gli AM-X e Tornado dell’Aeronautica. Ad illustrare lo stato dell’arte sul programma Joint Strike Fighter e’ il colonnello Giuseppe Lupoli, del segretariato generale della Difesa. L’F-35, sostiene, ”rappresenta la spina dorsale della forza aerea nazionale dei prossimi 40 anni. Non esistono alternative valide ad esso”.

Studi recenti hanno segnalato problemi tecnici dell’aereo, come la vulnerabilita’ ai temporali. Il colonnello non nega, ma parla di ”ordinaria amministrazione” e precisa: ”il programma e’ tuttora in fase di sviluppo e come tale presenta le problematiche tecniche di messa a punto tipiche di ogni programma aeronautico complesso che introduce per la prima volta tecnologie innovative: verranno via via corrette”.

A Cameri e’ gia’ partito il lavoro di montaggio delle ali dei caccia destinati agli Stati Uniti. A luglio prossimo partira’ l’assemblaggio del primo velivolo completo italiano: la consegna e’ prevista per la primavera del 2015. A regime lo stabilimento sara’ in grado di produrre fino a due velivoli al mese. Finora l’Italia ha investito 2,5 miliardi dollari nel programma, con un ritorno di 807 milioni di dollari. Sono 60 le aziende italiane coinvolte a vari livelli, dal Nord al Sud del Paese, capofila Alenia Aermacchi.

Le stime proposte da Lupoli indicano che nei prossimi anni gli occupati potrebbero essere circa 10mila, quelli che attualmente lavorano al programma Eurofighter. E le imprese coinvolte sono sul piede di guerra, dopo che il taglio del programma e’ diventato uno dei temi della campagna elettorali, vedi la dichiarazione di ieri del candidato premier del centrosinistra, Pierluigi Bersani.

La Oma spa di Foligno (Pg) ha per ora 50 dipendenti dedicati all’F-35 (costruzione ala e fusoliera), con la previsione di impiegarne ulteriori 150. ”Noi – avverte il presidente Umberto Nazzareno Tonti – abbiamo gia’ investito 5 milioni e ne investiremo altri 30, abbiamo scommesso sul futuro. Sarebbe un disastro ridimensionare ancora il programma”.

Sulla stessa linea Laura Caputo, della Ompm di Salerno, impegnata nella produzione dell’ala (120 addetti). ”Per l’Italia – osserva – e’ un’opportunita’ importante, la maggior parte degli altri programmi aereonautici sono vicini alla fine del ciclo vita, se non si parte con gli F-35 si rischiano pesanti ricadute occupazionali”.

Fonte: ANSA

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