Foto: Michela Ponzani

“È mancata la giustizia. Tanti carnefici impuniti”

di Maria Silvia Cabri

’La guerra giusta contro la politica del terrore’ è il titolo dell’intervento che Michela Ponzani, storica e divulgatrice, ha tenuto in piazza Grande a Modena, in occasione della celebrazione dell’80° anniversario della Festa della Liberazione. “Essere stata chiamata a Modena per parlare in una giornata così importante è per me un grande onore”, afferma Ponzani.

Che giornata è questa per lei?

“E’ un giorno di festa. ‘Ma cosa dobbiamo festeggiare?’ si è chiesto Giorgio Almirante nel 1955 (dieci anni dopo la guerra di liberazione). Io oggi rispondo che dobbiamo festeggiare un’eredità facendoci testimoni del tempo, dando valore oggi a quella scelta antifascista coraggiosa, al di là di ogni mistificazione, di ogni tentativo maldestro di riscrittura del passato. Perché quella generazione, ragazzi poco più che ventenni, non l’aveva voluta la guerra ma era stata costretta a battersi, ‘per necessità, non per odio’, affinché non tornasse mai più. Loro davvero sono stati patrioti”.

A cosa di riferisce la ‘politica del terrore’ del suo intervento?

“Tale era la logica della ‘terra bruciata’ della guerra ai civili, da condurre casa per casa. Quella appunto che gli uomini delle SS hanno messo in atto, addestrati alle più spietate operazioni di polizia antipartigiana, alla guerra di sterminio. Intorno a questi eccidi si è radicata una memoria divisa: una anti-partigiana che ha trovato appiglio nel profondo dolore dei famigliari delle vittime, una rabbia (umanamente comprensibile) che è stata abilmente strumentalizzata da narrazioni di comodo, da polemiche infinite, da distorsioni della verità intenzionate a prendere di mira le ragioni dell’antifascismo e di tutta la Resistenza. Da un uso pubblico della storia che ha potuto radicarsi soprattutto a causa dell’assenza di una giustizia, incapace nel dopoguerra, di inchiodare i carnefici alle loro responsabilità”.

E lei quale memoria porta avanti?

“Grazie al lavoro degli storici, sappiamo che quei massacri non possono essere considerati legittime rappresaglie compiute per vendicarsi di azioni partigiane, ma spietate operazioni di polizia antipartigiana, usate per controllare un territorio in prossimità delle linee di difesa e ritirata. È contro questa politica del terrore che i ribelli, i combattenti irregolari, i partigiani che si danno alla macchia cercano di resistere; e lo fanno come possono. La scelta di combattere non sarà né allora, né in seguito, una decisione presa a cuor leggero. Convincersi all’uso armato della violenza è un dramma di coscienza attraversato da dubbi, da crisi, da tormenti interiori”.

Dunque, qual è il suo monito per questo 25 aprile?

“Il 25 aprile, che a 80 anni dai fatti dovremmo non solo ricordare ma rivendicare ‘con spavalda ironia’, senza l’ipocrisia dei richiami alla ‘sobrietà’, con quell’ansia di rivoluzionare tutto, di ripartire da zero (per usare le parole di Italo Calvino), è il simbolo di una libertà riconquistata a caro prezzo”.

Fonte: Il Resto del Carlino – Modena

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