Foto: Cardinale Camillo Ruini (ANSA)

di Francesco Verderami

Il cardinale: «Francesco ha privilegiato i lontani a scapito dei vicini. Le istituzioni sono in parte destrutturate perché Bergoglio le voleva purificare. E le divisioni restano»

«Servirà un Papa buono, profondamente credente, dotato di attitudine nelle questioni di governo, capace di affrontare una fase internazionale delicatissima e molto pericolosa. E servirà un Papa caritatevole. Caritatevole anche nella gestione della Chiesa». Sono giorni di congregazioni e a Camillo Ruini molti chiedono consigli. Raccontano che durante i colloqui schivi certi temi, come l’argomento sulla nazionalità del futuro pontefice: «Può venire da qualunque parte del mondo. Di solito gli italiani hanno il vantaggio di essere meno condizionati dalle loro origini. Sono più universalisti. Ciò non vuol dire che gli altri non sarebbero in grado di rispondere meglio alle necessità della Chiesa. Questo è il criterio ultimo».

Non si affanna nei pronostici. A novantaquattro anni, avendo una lunga esperienza, sa che «a contare è sempre e solo il Conclave» (Conclave dal quale, martedì 29 aprile, si è tirato fuori il cardinale Becciu). Piuttosto insiste su un principio: «Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici, mantenendo però l’apertura a tutti». Chiunque gli parli, conserva questa esortazione di Ruini. Dettata da una preoccupazione che le esequie di Francesco gli hanno confermato: «I funerali hanno dato l’impressione che si sia risolto il problema principale del pontificato, quello cioè della divisione della Chiesa, che in qualche modo coinvolgeva lo stesso Bergoglio. Purtroppo la divisione è rimasta, con il paradosso per cui favorevoli a Francesco sono per lo più i laici mentre contrari sono spesso i credenti».

Il fatto è che il Papa, secondo il cardinale, «con un’intenzione missionaria si era rivolto soprattutto a quanti erano distanti, con modalità che hanno irritato chi per anni si era speso a difendere le posizioni cattoliche. Francesco è sembrato cioè privilegiare i lontani a scapito dei vicini. È un gesto evangelico. Ma come nella parabola del figliol prodigo l’altro figlio protestò, così oggi c’è chi protesta nella Chiesa». Davanti al popolo «diviso tra chi vuole mantenere i valori tradizionali e chi vuole aprirsi al mondo di oggi» bisogna «agire con prudenza, per fare magari entrambe le cose. Purtroppo la popolazione ha percepito una scelta netta di Bergoglio verso l’apertura alle novità. E molti lo hanno rifiutato per rimanere fedeli alle loro convinzioni».

Non c’è dubbio che ad aver colpito Ruini sia stato il modo in cui i funerali sono stati rappresentati sui media: «Quello che non ha avuto abbastanza rilievo è che l’elemento centrale della Chiesa è Cristo, non il Papa. Altrimenti si apre un problema». E per farsi capire meglio, mette a confronto le esequie di Giovanni Paolo II con quelle di Francesco: «Alla morte di Wojtyla la gente urlava “santo subito”, mentre alla morte di Bergoglio ha urlato “grazie Francesco”. Ecco, se viene messa in ombra la dimensione trascendente non si rende un buon servizio alla Chiesa». In ogni caso Ruini non vede «il rischio di uno scisma»: «È fuori dallo spirito del tempo. La dialettica tra conservatori e progressisti è salutare, ma se si radicalizza e diventa patologica, anche senza scismi può avere effetti devastanti, paralizzando la vita della Chiesa».

La questione «più pericolosa» è però un’altra, «poco visibile all’esterno» e che si muove «in profondità». Un sintomo di essa sono «quei teologi che prendono posizioni contrarie all’ortodossia cattolica». Perciò Ruini insiste su quella che chiama «la forma cattolica della Chiesa»: da una parte «l’adesione alla dottrina», dall’altra «le strutture ecclesiali, a partire dal papato e dall’episcopato».

«Sono capisaldi che oggi spesso non vengono compresi e sono contestati. Ma così si mina la certezza della Verità e si toglie la gioia della fede. Non possiamo accontentarci di una fede problematica».

È quindi sulle questioni dottrinali che lo spartito va completato per evitare l’incompiuta. «Certe affermazioni di papa Francesco potevano dare l’impressione di una grande apertura, come il famoso “chi sono io per giudicare”, riferito alle persone omosessuali, che sembrava preludere a profonde modifiche dottrinali. Su altri aspetti è andato invece in senso opposto, riuscendo — e questo è uno dei suoi grandi meriti di cui nessuno parla — a neutralizzare la contestazione ecclesiale sui punti più acuti: dall’ipotesi del sacerdozio alle donne alla illiceità dell’aborto, per la quale ha usato parole assai forti, che nessuno aveva osato pronunciare prima di lui. Così negli ultimi anni è diminuita, nelle aree ecclesiali più radicali, la simpatia nei suoi confronti».

Sfuggente sulla definizione dell’identikit del nuovo Papa, Ruini è diretto sul «compito impegnativo che sta dinnanzi a noi. Ricostruire l’unità della Chiesa, specialmente l’unità attorno al Papa, che è il punto di riferimento della comunità cattolica. È vero che le divisioni risalgono già ai tempi di Paolo VI e che Francesco si inserisce nella lunga serie dei Papi contestati. Così com’è vero che non è possibile superare del tutto questo problema. Va però affrontato». Come un altro tema, «assai delicato»: cioè «la parziale destrutturazione delle nostre istituzioni. Questo è accaduto anche perché dinnanzi alle difficoltà preesistenti — specie nella Curia — il Papa ha cercato di trovare una soluzione».

Su questo punto Ruini non concorda con l’opinione prevalente tra i critici del Papa. «Secondo me Bergoglio voleva purificare, non destrutturare. Pensiamo all’enorme problema della pedofilia, con cui si era misurato anche Benedetto XVI».

Ecco quale Chiesa erediterà il futuro pontefice, sebbene «la sua priorità dovrebbe restare comunque quella di “alimentare la fiamma della fede che in molte zone del mondo minaccia di estinguersi”». Ruini cita una famosa frase di Ratzinger per rappresentare «la sfida fondamentale che ci attende»: «E non è detto che il nuovo Papa riuscirà a superarla». Gli strumenti che avrà a disposizione saranno «l’annuncio della fede e la testimonianza della carità»: «È per la carità praticata dalla Chiesa che la gente ama e si fida di essa. Su questo Francesco si è impegnato a fondo. La carità deve però esprimersi anche nelle istituzioni ecclesiali, evitando certe inutili durezze che non sono conformi al governo di quella singolare realtà che è la Chiesa, con la sua legge fondamentale: l’amore, il perdono, la comprensione».

In ogni caso — dice sempre prima di congedarsi — «tutto dipende dalla misericordia del Signore».

Fonte: Corriere della Sera

 

 

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