La guerra civile in Libia è sempre più un conflitto per procura tra Turchia ed Emirati arabi. Droni da combattimento turchi sono stati filmati in volo nell’aeroporto di Tripoli
di Enrico Cicchetti
I turchi hanno un contingente militare dentro l’aeroporto di Tripoli per
guidare alcuni droni da combattimento che sono stati
avvistati e filmati in volo negli ultimi due giorni. Questa
notizia conferma che la guerra civile in Libia ormai
entrata nel terzo mese è sempre di più un confitto fra
potenze regionali, che continuano a mandare armi e, in
questo caso, soldati. E’ impossibile che siano i libici a
pilotare questi apparecchi perché non hanno le competenze
necessarie. Nè possono essere pilotati a distanza dalla Turchia.
Nonostante l’embargo delle Nazioni unite, in Libia
continuano a riversarsi moltissime armi da guerra.
L’avanzata dell’esercito del generale Khalifa Haftar verso
Tripoli in questi giorni è in una situazione di stallo. Il che
non significa che non si spari da una parte e dall’altra:
venerdì ci sono stati scontri a Zawiya e intorno all’aeroporto
di Mitiga. L’offensiva di Haftar, iniziata il 4 aprile e che
doveva durare pochi giorni, rischia di trasformarsi in una
guerra per procura tra potenze mediorientali. Se l’uomo
forte della Cirenaica è spalleggiato dall’Egitto e dagli
Emirati arabi uniti, il Qatar e la Turchia appoggia da anni il
governo di Accordo nazionale (Gna) di Fayez al Serraj. Il
Gna è l’unica entità riconosciuta dall’Onu, ma la solidarietà
di Ankara dipende più che altro dall’affinità con le milizie
legate alla Fratellanza musulmana che controllano Tripoli
e con le quali si è schierata subito dopo la caduta di
Gheddafi . Ad aprile Erdogan ha chiarito che la Turchia “farà
tutto il possibile per prevenire lo scenario siriano in Libia”.
Eppure Ankara, non potendo fare la pace, si prepara alla
guerra.
A fine maggio diversi veicoli blindati di fabbricazione turca
erano sbarcati nel porto della capitale libica, trasportati
dalla nave “Amazon”, battente bandiera moldava. Poi, nella
notte del 3 giugno, le forze dell’autoproclamato Esercito
nazionale libico di Haftar hanno annunciato di avere
abbattuto un “drone” turco “che stava bombardando in
maniera indiscriminata i quartieri e le aree residenziali di
Ghadian”, a sud di Tripoli. Più che di un drone, dalle
immagini diffuse su internet, pare si trattasse di un
biturboelica (forse il King Air 65-90 costruito
dalla Beechcraft, dicono alcuni esperti).
Giovedì scorso, il capo del comando dell’aviazione libica
fedele ad Haftar, il generale Mohammed Manfour, ha
denunciato la presenza di 30 esperti militari turchi che
lavorano per le milizie alleate con il Gna. Un’informazione
da prendere con le dovute precauzioni ma che sembra
essere verosimile. Soprattutto acquista credibilità se si
osservano i video diffusi oggi sul web da diversi profili che
si occupano di intelligence e conflitto libico. Si vede un
drone – che è stato identificato nel Bayraktar TB2 UCAV
(nella foto) sviluppato per le forze armate turche – che atterra
all’aeroporto di Mitiga.
“La Turchia oggi rivaleggia con gli Stati Uniti e il Regno
Unito come il più prolifico utilizzatore al mondo di droni
killer”, secondo quanto scrive l’Intercept, che spiega come il
paese non sia solo tra i più avanzati produttori di droni, ma
anche “l’unico a usarli regolarmente sul proprio suolo,
contro i propri cittadini”: il TB2 è stato usato con successo
nel conflitto contro i separatisti curdi. È lo stesso velivolo
colpito dalle forze democratiche siriane nel febbraio 2018
che si schiantò vicino a Quda, al confine tra Siria e
Turchia. Un altro mezzo dello stesso tipo era stato abbattuto
dal sistema antiaereo russo nel porto siriano di Tartus, nel
2017. Lo produce la società di Selçuk Bayraktar, che ha
trasformato l’azienda di componenti per auto di famiglia in
un impero dell’industria bellica. Nel 2005, appena finito il
dottorato al Mit, ha presentato i suoi droni all’esercito turco.
Ma l’aviazione non ne è rimasta particolarmente
impressionata e ha continuato ad acquistarli da Stati uniti e
Israele, affidando la produzione interna alla Türk
Havacılık ve Uzay Sanayii, il cuore del settore aerospaziale e
della difesa turco. Ma gli equilibri geopolitici cambiano in
fretta, e così le sorti di Bayraktar. Mentre la diplomazia di
Ankara si allontanava da Washington e Tel Aviv, il
presidente Recep Tayyip Erdogan decideva di iniziare la
sua corsa autarchica agli armamenti. In dieci anni, la
produzione turca è passata da un misero 25 al 60 per cento
del fabbisogno dell’esercito. Anche le esportazioni sono
aumentate (1,7 miliardi di dollari lo scorso anno). “La
Turchia smetterà di importare prodotti del settore della
difesa entro il 2023”, ha annunciato Erdogan alla cerimonia
di apertura del Salone internazionale dell’Industria della
Difesa del 2015. In quell’occasione, durante una prova, il
TB2 di Bayraktar ha colpito con un razzo un bersaglio a 8
chilometri di distanza da 4 chilometri di altezza. Lo stesso
anno Bayraktar ha sposato la figlia più giovane di
Erdogan. Da allora, la sua azienda è diventata il produttore
di droni preferito dello stato.
Ci sono almeno tre cose da sapere per capire perché le
immagini del drone diffuse oggi sono, se non una prova,
almeno un forte indizio che degli agenti di Ankara stiano
usando questi velivoli nella difesa di Tripoli. Tra quelli
prodotti per l’aviazione turca, il TB2 ha il record di
autonomia e altitudine: può volare per 24 ore e 34 minuti
e arrivare a più di otto chilometri dal suolo. Ma non può
certo essere decollato dalla Turchia: tra le basi più
occidentali dell’Anatolia, come quella di Balıkesir, e la Libia
ci sono almeno 5 ore di volo. Nè può essere controllato da
una simile distanza: deve essere pilotato da una stazione
a terra. Infine, è improbabile che il raffazzonato esercito di
Serraj sia in grado di pilotarlo in autonomia.
Verso la fine dello scorso anno, nel porto libico di Khoms
era stato scoperto un’enorme carico di armi nascoste in due
container provenienti dalla Turchia. C’erano circa tremila
pistole di fabbricazione turca, armi da caccia e milioni di
proiettili: mezzi che è plausibile non fossero destinate a un
esercito regolare, “ma piuttosto a gruppi armati”, spiegava
allora il Jerusalem Post “molto probabilmente
organizzazioni islamiche legate alla Fratellanza
musulmana”. Le partite di armi avevano fatto andare su
tutte le furie il governo di Tobruk, dominato da Haftar.
Anche Tripoli aveva formalmente protestato, per quanto sia
abbastanza chiaro che gli armamenti fossero destinati alle
fazioni che si occupano della sua difesa. E la delegazione
delle Nazioni unite in Libia aveva ribadito l’importanza
dell’embargo sulle armi alla Libia, rinnovato a giugno 2018
dal Consiglio di sicurezza. Da allora, e con l’inizio
dell’offensiva di Haftar contro la capitale, le due parti
hanno abbandonato ogni reticenza e hanno iniziato
entrambe a vantarsi dell’arrivo dall’estero di nuovi
armamenti e munizioni per i propri combattenti. Mentre
nessuno dei due prevede di cedere, ci si sta dirigendo
sempre più verso una guerra di logoramento. Che più sarà
lunga e più sarà distruttiva e difficile da risolvere.
Fonte: Il Foglio, 11 giugno 2019