di Sharon Nizza

Ronen Bergman (nella foto) da anni racconta quel mondo fatto di ombre, dilemmi e scelte spietate in cui operano i servizi israeliani. Unico israeliano nella redazione del New York Times , firma di punta di Yediot Ahronot , per il quotidiano americano ha rivelato pochi giorni fa che dietro all’assassinio del numero due di Al Qaeda, Al Masri, a Teheran, c’era la mano del Mossad. Alla spinosa questione degli omicidi mirati ha dedicato un saggio, Uccidi per primo, tradotto in 20 lingue tra cui l’italiano, che Hbo sta per trasformare in serie tv.

L’omicidio del padre del programma del nucleare Mohsen Fakhrizadeh, attribuito ad agenti israeliani, dimostra come «siano stati raggiunti livelli di infiltrazione senza precedenti», dice a Repubblica . «Se pensiamo al trafugamento dell’archivio nucleare nel 2018, di quel magazzino erano a conoscenza solo sei funzionari iraniani».

Risultati incredibili, frutto di un percorso in cui «la comunità di intelligence israeliana ha creato una sinergia tra tutte le sue componenti che è unica al mondo. L’enorme sfida della seconda Intifada ha portato all’acquisizione di esperienza sul campo che si è rivelata critica su altri fronti».

Il tempismo di questo attacco dice qualcosa? «Ci sono molte speculazioni riguardo al fatto che l’operazione sia avvenuta ora per ostacolare la strada diplomatica che vuole intraprendere Biden con l’Iran. Ma operazioni del genere richiedono mesi di preparativi, il tentativo di legarla al risultato delle elezioni Usa non è plausibile».

Ha descritto l’operazione per eliminare il generale di Hezbollah Imad Mughniyeh come la più complessa di sempre. Quella di venerdì l’ha superata? «Una delle sfide con Mughniyeh era che nessuno sapeva che volto avesse, la sua ultima foto risaliva al 1983. Fakhrizadeh era più esposto: aveva un blog, aveva insegnato all’università. L’omicidio di Mughniyeh nel 2008 ha rappresentato una svolta nel modus operandi, nella preparazione sul campo durata mesi, nel coinvolgimento di nuove unità di intelligence. Si è creato un modello che non c’è dubbio sia stato utilizzato in seguito».

Si è parlato di motociclisti e cecchini, ma l’agenzia di stampa Fars ha detto che non erano coinvolti uomini, si è trattato di un’operazione gestita da remoto. «Fakhrizadeh era sorvegliato 24 ore al giorno, sette giorni su sette, e chi ha compiuto l’operazione lo sapeva ed era pronto a uno scontro a fuoco. La ricostruzione di Fars non mi pare realistica. In Iran ne circola anche un’altra secondo cui uno dei cecchini è stato fermato e interrogato. Va considerato che in questa fase le informazioni rilasciate potrebbero essere volte a depistare. Credo ci sia un grande imbarazzo da parte del regime perché, qualunque sia la versione, ha fallito nel compito di difendere una delle sue figure chiave».

Ci sono migliaia di turisti israeliani a Dubai e l’Unità per la lotta al terrorismo ha appena pubblicato un “avviso di viaggio” sugli Emirati. C’è un rischio concreto di rappresaglia? «L’Iran, rispetto ai durissimi colpi subiti nell’ultimo anno, ha dimostrato di stare facendo di tutto per evitare un’escalation, lo vediamo anche in Libano e Iraq. Credo che, prima di ogni cosa, a loro interessi la sopravvivenza del regime. E per questo servono soldi, la situazione economica del Paese è drammatica. Credo che aspetteranno di vedere come Biden si comporterà. Arrivano al tavolo delle trattative in una posizione di estrema debolezza e Biden dovrebbe poter sfruttare questa condizione per ottenere un accordo migliore».

Fonte: la Repubblica

Foto: GQ

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