di Fabiana Magrì

Nessuna troupe cinematografica prima di Fauda aveva mai messo piede alla Mala, il più grande centro di addestramento alla guerriglia urbana dell’esercito israeliano. E anche se adesso – dopo il successo planetario della terza stagione di una delle serie «made in Israel» più viste di sempre – piovono le richieste da parte delle produzioni cinematografiche, a Tsahal non sembrano essere interessati più di tanto. Forse perché, alla Mala, già da quindici anni si vive come in un film, per prepararsi alla realtà più dura.

Per arrivare alle porte della Mala, si entra nella base militare di Tze’elim, il centro nazionale di addestramento, il più grande in Israele per le forze di terra, dove l’esercito affina le competenze dei soldati in artiglieria, tattica e strategia, logistica e assistenza sanitaria. L’area, 20 chilometri quadrati di attività militari ben celate a sguardi indiscreti, confina a Ovest con il territorio della città di Be’er Sheva che si trova ad appena 45 minuti di auto. Alla stessa distanza, ma verso Est, c’è il valico commerciale di Kerem Shalom, sui confini tra Israele, Striscia di Gaza ed Egitto.

Superati uffici, dormitori e negozi, la strada sbocca nel deserto del Negev, su una distesa di terreni a perdita d’occhio, adatti ai più diversi tipi di addestramento. Dietro un cumulo di sabbia, compare una squadra di giovani soldatesse, alcune a riposo, sedute per terra, il casco tra le braccia. Altre stanno prendendo lezioni di guida a bordo di un mezzo ibrido tra un fuoristrada e un carro armato leggero. Sono loro che guidano, in caso di un’operazione di terra, la prima linea all’interno del territorio nemico.

Dopo qualche chilometro di apparente tranquillità, spuntano i minareti. I primi edifici, alla periferia del villaggio fantasma, sono case basse. Sulle pareti, graffiti e murales di bandiere e ritratti di leader palestinesi, slogan come «Free Gaza», scritte in arabo. Lasciamo l’auto a bordo strada, accanto all’ingresso di un cimitero senza tombe. I soldati non sono abituati a vedere una civile aggirarsi per la Mala, anche se ad accompagnarla è il loro comandante operativo, Itai Zigdon. Eppure non fanno una piega mentre, strisciando silenziosi lungo i muri ai bordi della strada, a fucili spiegati, vengono nella nostra direzione scambiandosi sguardi e cenni convenzionali con le mani. In mezzo a loro, un team di istruttori impartisce ordini ad alta voce: «Continuate ad avanzare!». La prima squadra scavalca il muro del cimitero e sparisce al di là, tra le indicazioni dell’addestratore.

La città si fa più fitta addentrandosi in 6 km e mezzo di vicoli che si dipanano tra oltre 500 edifici. Ogni tanto la carcassa di un auto odi un furgone – vetri sfondati, gomme a terra, sedili divelti – ostruisce il passaggio. L’area più densamente costruita si affaccia su una grande rotonda. E la piazza dove, nell’ottavo episodio di Fauda, Doron, Avichai, Sagi e Eli tengono d’occhio il padre di Bashar all’uscita dal negozio di telefoni cellulari. L’insegna è ancora li, appesa sulla porta. Tutto il resto – pneumatici, banchi del mercato, ombrelloni e altri ingombri urbani – sono apparsi e poi scomparsi nel giro di tre giorni, i più torridi dell’estate 2018, assieme alle cento comparse, alla troupe e alla produzione.

«Tutto può succedere qui alla Mala. Uno dei vantaggi di questo posto è che può essere personalizzato fin nei minimi dettagli, così che possiamo addestrare ogni tipo di forza militare. Anche i riservisti. E a volte anche eserciti stranieri, ma non posso dire di dove. L’addestramento coinvolge tutto quello che puoi vedere e immaginare. Puoi paracadutare soldati, guidare droni, fare arrivare aerei». Dalla cima del minareto di una delle moschee, il tenente colonnello Zigdon osserva l’addestramento che ha luogo ai suoi piedi e all’ottavo piano dell’edificio di fronte. Da comandante di battaglione, Tze’elim l’ha conosciuta bene. Tanto da restarvi come istruttore e, dopo due anni, ricoprire l’incarico di responsabile della divisione operativa. Ogni tanto le sue parole sono coperte da spari ed esplosioni. Alla Mala vengono ricreate le situazioni più complesse, ambientate fuori e dentro banche, scuole, ospedali e perfino edifici dell’Unrwa.

«Ci sono telecamere ovunque per riprendere gli addestramenti e poi riesaminare i comportamenti delle truppe. Gli altoparlanti diffondono rumori di spari, traffico, persone che gridano, il richiamo del muezzin. Li impostiamo da una app per creare l’atmosfera. Abbiamo squadre che fanno la parte del nemico. Ogni angolo, ogni fessura, può nascondere una minaccia. Nella zona più densa di edifici, dove i passaggi sono stretti e bui, non si vede niente. Le esercitazioni, di giorno e di notte, possono durare settimane. Anche dormire qui fa parte dell’addestramento. Quando entri alla Mala, non sai mai cosa ti aspetta. Non sarà una vera zona di guerriglia, ma è quanto di più simile possa esserci». E quando la topografia non corrisponde ai requisiti, arrivano i bulldozer a spostare la sabbia del deserto fino a ricreare ciò di cui hanno bisogno gli addestratori.

L’Urban Warfare Training Center è operativo dal 2005, da quando l’esercito israeliano comprese che il campo di battaglia sarebbe passato dal territorio aperto agli spazi urbani, a presenza mista di civili e terroristi. Proprio questa è una delle maggiori sfide: distinguere i buoni dai cattivi, condurre operazioni di precisione, ingaggiare soltanto il nemico. Zigdon ha divorato la terza stagione di Fauda in appena due giorni. «Dopo aver visto la serie, mia madre è molto più preoccupata per me. Ora – scherza – pensa di sapere che lavoro faccio. Ma anche se ormai tutti conoscono l’esistenza della Mala, chiunque arrivi qui per la prima volta resta senza parole».

Fonte: La Stampa

Foto: bagirasys.com

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