di Simonetta Fiori

«Il 25 aprile è una data fondamentale, oggi più che mai dobbiamo celebrarla uniti. E chi contesta la Brigata ebraica è perché non ne conosce la storia». Piero Cividalli è l’ultimo testimone del corpo militare di cinquemila ebrei palestinesi che nell’ottobre del 1944, sotto la bandiera britannica, corse in aiuto del nostro paese. Il diciannovenne Cividalli riuscì a sbarcare a Taranto solo nel luglio dell’anno successivo, a guerra finita, e ora a 94 anni con voce ferma ricorda le macerie, le rovine fisiche e morali in cui si imbatté lungo la penisola.

Ogni anno, dalla sua casa di Tel Aviv, il professor Cividalli segue con comprensibile tristezza le proteste che da un angolo della piazza milanese si levano contro simboli della sua Brigata identificata nell’attuale politica di Israele, mentre a Roma le associazioni antifasciste e la comunità ebraica non riescono a convivere nello stesso corteo. Nella sospensione della pandemia non sono ancora comparsi segnali di guerra: che la piazza virtuale possa essere l’occasione per sanare una lacerazione sbagliata, come suggeriva ieri su Repubblica Marco Revelli?

«È un problema di ignoranza», dice Cividalli con la serenità di chi ha attraversato il cuore di tenebra del Novecento. «Chi contesta non sa che la Brigata in origine contava anche volontari arabi. E che ebbe un ruolo importante nella liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. Inoltre nell’immediato dopoguerra contribuì a ricostruire il tessuto civile delle comunità ebraiche, aiutando i deportati a reinserirsi nelle realtà da cui erano violentemente sradicati». Anche Piero, nel ’38, era stato espulso dalla sua scuola di Firenze. Che cos’era il fascismo l’aveva capito l’anno prima, quando la Cagoule assassinò a Bagnoles-de-l’Orne i migliori amici dei suoi genitori, Carlo e Nello Rosselli. Fu allora che il padre maturò l’idea di trovare riparo nella Palestina britannica.

«Eravamo profondamente italiani», racconta Cividalli. «Eppure fummo perseguitati nell’indifferenza generale». Nonostante il trattamento subito in patria, giovanissimo partì volontario in aiuto di quello che considerava il suo paese. «Basta studiare la storia. Ho l’impressione che gli italiani sappiano poco di noi». Anche Anna Foa è convinta che le contestazioni nascano dall’ignoranza intorno alla Seconda guerra mondiale. «Si continua a fare confusione tra ebrei, israeliani, volontari della Palestina britannica: un gran minestrone, condito da antisemitismo nella sinistra estrema. La Brigata ebbe un ruolo importante nello sfondamento della Linea Gotica. Ed è fuori discussione che i suoi simboli debbano partecipare al corteo del 25 aprile ».

All’origine dei contrasti fu la decisione dell’Anpi di fare di questa data la festa di tutte le liberazioni: da qui i fischi verso Israele considerato l’oppressore dei palestinesi. «Ma la Brigata ebraica non è Israele», obietta Foa. «E comunque il 25 aprile deve rimanere la festa della liberazione dal nazifascismo: estenderne il significato può produrre confusione». Nella scuola ebraica di Milano riaperta dalla Brigata nel dopoguerra — a cui sono dedicati gli studi di Stefano Scaletta — lavora oggi Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di Documentazione ebraica contemporanea.

«Per tanti anni la coreografia del 25 aprile è stata incentrata sul partigianato comunista e azionista e solo in tempi più recenti sono state valorizzate altre componenti, tra cui la Brigata ebraica. Ma per la sinistra più estrema basta vedere la stella di David su fondo azzurro per dare addosso a Israele: un cortocircuito che non c’entra con l’esperienza storica della Liberazione». Quello che si cela dietro le contestazioni è anche un conflitto di memorie tra una parte del mondo antifascista e la comunità ebraica. «In alcune zone della sinistra gli ebrei vanno bene come soggetti astorici perseguitati dal nazifascismo, meno bene come portatori d’una coscienza sionista. Io credo che questo 25 aprile senza la piazza fisica serva per riflettere. Ma non sono sicuro che sia sufficiente per superare le divisioni».

Al momento non s’avvertono echi di battaglia. «Come se ora ci fossero altre priorità», suggerisce Anna Foa. «Di fronte all’appello di Forza Nuova di sporcare il 25 aprile scendendo in piazza, tutto il mondo antifascista si ricompatta. L’augurio è che questa unità sia una conquista definitiva, destinata a sopravvivere al lockdown».

Fonte: la Repubblica, 23 aprile 2020

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