Ex ministri, analisti e scienziati ci raccontano la pandemia nello stato ebraico

di Giulio Meotti

Due piccoli paesi con vicini ostili, che subiscono l’isolamento diplomatico, dalle economie altamente sviluppate ed elevatissimi tassi di innovazione tecnologica, due paesi leader nella medicina e due società incentrate sul valore dell’identità collettiva. Era quasi naturale che Israele per affrontare la pandemia guardasse a Taiwan, un’isola di 23 milioni di abitanti dove gli arrivi da Wuhan sono stati sottoposti a controlli prima ancora che la trasmissione del virus da uomo a uomo fosse confermata il 20 gennaio, anche contravvenendo all’Oms per cui non erano necessari simili divieti. Taiwan oggi ha una sessantina di malati, come la Croazia.

Israele, che finora non ha avuto morti da Covid-19 (cinque pazienti sono gravi) a fronte di cinquecento infezioni, è sia oriente sia occidente. E la sua peculiarità nel combattere l’epidemia è essere un ponte fra i due, come spiega Doron Matza: “Il modo in cui le nazioni stanno rispondendo al virus, il cigno nero del XXI secolo, illustra le differenze tra est e ovest. La Cina ha messo milioni di persone in isolamento, la Corea del sud si è concentrata su test approfonditi e Taiwan ha chiuso. Il modello di pensiero orientale è l’opposto di quello occidentale, in cui individualismo e libertà hanno la precedenza sulla collettività. La tradizione politica occidentale ha un basso adattamento e si è rivelata letale per Europa e Stati Uniti.

Questo ha spinto i governi ad alzare le mani. Israele è da qualche parte tra la cultura dell”io’ e del `noi’, ha interiorizzato il ‘cigno nero’ e adottato misure che andavano ben oltre i paesi occidentali ma con un approccio graduale a differenza dei paesi asiatici”. E’ questa gradualità a fare di Israele un modello per l’Europa. “C’è un solo paese al mondo che si è preparato a qualsiasi genere di catastrofe, che credo sia Israele”, ha spiegato il professor Massimo Galli, infettivologo del Sacco di Milano. Ieri, il biofisico Nobel per la Chimica nel 2013, Michael Levitt, ha detto: “Sarò sorpreso se il numero di morti in Israele superasse i dieci”, aggiungendo che lo stato ebraico “non è sulla mappa del mondo per la malattia”. “All’inizio Israele doveva bloccare l’ingresso del virus nel paese e ha avuto un grande successo”, dice al Foglio Ephraim Sneh, medico, ex ministro della Sanità sotto Yitzhak Rabin e già generale di brigata dell’esercito. “Ora le misure sono per evitare il contagio. Il virus dovrebbe essere contenuto. Il nostro modello è sia la Corea con i test, sia Taiwan, che ha tracciato i contagi. Da ieri la popolazione sta rispettando seriamente le regole. La disciplina della popolazione è la chiave del successo”.

Israele sta per aprire un centro per test “drive-in” nel Parco Ganei Yehoshua di Tel Aviv. Si ricevono i risultati via sms. Altri cinque centri saranno aperti a Haifa, Gerusalemme, Petah Tikva, Rishon Lezion e Beersheba. Funzionano senza mai fermarsi e testeranno cinquemila persone al giorno. Israele ha autorizzato anche il servizio segreto interno (Shabak) a monitorare i cittadini tramite cellulare, uno strumento antiterrorismo mai usato al di qua della Linea verde. E’ la geolocalizzazione per chiunque sia sospettato di essere entrato in contatto con il virus (una misura elogiata ieri da Roberto Burioni).

Ci si sta preparando a eventuali violazioni della quarantena. L’esercito assumerebbe un ruolo chiave (Israele ha esercito e servizi segreti di una certa efficienza). “Dalla mia finestra vedo un grande centro per il test: le auto entrano, abbassano il finestrino, i medici prelevano il Dna e via” dice al Foglio Ron Ben Yishai, il più importante giornalista israeliano per la sicurezza che lavora al quotidiano Yedioth Ahronoth. “Il governo vuole usare le tecniche del servizio segreto per tracciare coloro che sono stati in contatto con chi è infettato per metterli in quarantena. Abbiamo imparato da Taiwan. E’ una grande violazione della privacy, ma se non hai abbastanza test il controllo elettronico è l’unico modo per dire a chi potrebbe essere infettato di stare in isolamento. L’opinione pubblica ha visto cosa accade in Italia e ha deciso di agire radicalmente”.

E se la situazione sfuggisse di mano? Amit Huppert del Gertner Institute for Epidemiology dice che Israele potrebbe avere da 8.600 a 21.600 vittime. “Gli israeliani stanno rispettando le istruzioni che cambiano ogni giorno” dice al Foglio Isaiah (Shy) Arkin, biochimico dell’Università di Gerusalemme, la cui ricerca ha gettato nuova luce sul funzionamento dei virus. “Il problema sono gli asintomatici e stiamo parlando molto di questo. In Italia dovete fare molti più test, è fondamentale, ti fornisce una immagine più ampia. Ma c’è un costo. Israele ha un altro vantaggio, siamo un paese dove la tecnologia e la ricerca contano molto”.

“Non siamo una dittatura come la Cina, non possiamo usare i militari per cambiare il comportamento delle persone, abbiamo scelto una strada a metà fra l’Europa, ovvero bloccare l’interazione sociale, e la Corea, che fa test a tappeto”, dice al Foglio Uzi Even, professore emerito di Chimica all’Università di Tel Aviv, già deputato laburista e che ha lavorato nella centrale atomica di Dimona. “La responsabilità sociale è molto forte qui. E in 70 anni di terrorismo e guerre siamo abituati alle emergenze”. Israele è la nostra Taiwan.

Fonte: Il Foglio

Foto: The Time of Israel

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