di Giordano Stabile

Fra Hezbollah e Israele soffiano venti di guerra e la retorica bellica va a mille, ma intanto il governo libanese e quello israeliano hanno fatto un passo in avanti storico e accettato la mediazione Usa per risolvere la settantennale disputa sui confini marittimi e terrestri. Rappresentanti dei due Paesi si vedranno a Naqura (nella foto) vicino alla frontiera dove ha sede il quartiere generale della missione Unifil. Sarà un tavolo tripartito, con la partecipazione dei mediatori Usa. Sembra una replica delle riunioni a tre fra ufficiali israeliani, libanesi e delle Nazioni Unite che da 13 anni contribuiscono a evitare un altro conflitto.

La formula è stata proposta dall’inviato americano David Satterfield, già ambasciatore a Beirut negli anni della guerra civile, un diplomatico che conosce tutte le sottigliezze del Medio Oriente e parla un ottimo arabo. La spola di Satterfield fra Gerusalemme e Beirut va avanti da mesi. I colloqui dovranno risolvere i disaccordi su 13 punti del confine, comprese le «fattorie di Sheba» al centro di mille conflitti. Ma il punto cruciale riguarda la frontiera marittima, perché corre su giacimenti di gas che entrambe le nazioni vogliono sfruttare. Israele già produce e fra poco esporterà gas, da piattaforme al largo delle sue coste meridionali. Il bacino a Nord lo trasformerebbe in una piccola potenza degli idrocarburi. Ma per il Libano, alle prese con una cronica scarsità di elettricità, il metano sarebbe una manna, anche per le casse dello Stato.

L’incentivo è quindi fortissimo a mettersi d’accordo. Ed è pure nell’interesse di Hezbollah. I servizi israeliani hanno rivelato che i trasferimenti finanziari dall’Iran, causa sanzioni, sono crollati da un miliardo a 600 milioni di dollari. La manna del gas potrebbe riversarsi anche nelle casse del Partito di Dio e risolvere il problema. A questo punto una nuova guerra diventerebbe meno probabile. I miliziani hanno perso una delle loro carte strategiche con la distruzione da parte israeliana di 6 tunnel che sbucavano nel territorio dello stato ebraico e avrebbero permesso attacchi a sorpresa. Dispone ancora di decine di migliaia di razzi e missili, ma in caso di conflitto andrebbero in fumo anche i miliardi promessi dall’estrazione del metano.

Fonte: La Stampa, 16 giugno 2019

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