Un caccia dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar, fornito dagli Emirati Arabi Uniti, e’ stato abbattuto dalla contraerea del Governo di accordo nazionale di Tripoli, con un missile fornito dal Qatar: il complesso intreccio di alleanze che sta dietro alla battaglia di Tripoli tr Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar puo’ essere riassunto in questa azione.

Fra tribu’, milizie e interessi stranieri, lo scacchiere libico non e’ mai stato semplice. E si e’ complicato ancora di piu’ da quando il vento della Primavera araba spazzo’ via, nel 2011, il regime del colonnello Muammar Gheddafi. La Libia, estesa sei volte l’Italia e abitata da sei milioni di persone (un decimo della popolazione italiana), e’ tornata alle vecchie fratture e sotto il controllo di milizie e signori della guerra.

A ovest, nella Tripolitania, l’autorita’ e’ stata affidata al fragile Governo di accordo nazionale, voluto dall’Onu con gli accordi di Skhirat e sostenuto, almeno sulla carta, dalla comunita’ internazionale, sotto il comando dell’ex ingegnere civile Fayez al-Serraj. Dall’altra parte, nella Cirenaica, a est, ha sempre comandato – grazie anche alla forza – il maresciallo Khalifa Haftar, che con il suo Esercito nazionale libico fece la guerra a Gheddafi, del quale era stato comandante della forza armata, e agli islamisti.

Ogni tentativo di unire il Paese con la diplomazia finora e’ franato. A poco sono servite la Conferenza di Palermo (nella foto) del novembre scorso e il successivo summit di Dubai del 27 febbraio dove i due principali contendenti si erano promessi di lavorare per elezioni nazionali che potessero dare al Paese una guida legittima. Il 4 aprile scorso l’uomo forte della Cirenaica ha deciso tuttavia di preferire le bombe alle urne, e lanciato la sua offensiva finale su Tripoli. Il suo esercito al momento ha dimostrato piu’ di una falla, a vantaggio della resistenza delle milizie improvvisate.

La mossa di Haftar, che si traduce in una campagna anti Fratelli musulmani (punto di riferimento per il governo di Tripoli), arriva dopo una serie di consultazioni con cui ha ottenuto l’appoggio dei principali sostenitori. La piu’ importante il 27 marzo, quando Haftar si reco’ a Riad, dove – secondo quanto scritto dal Wall Street Journal – ottenne dai reali sauditi la promessa di un finanziamento di decine di milioni di euro. Il flusso di denaro non e’ mai mancato, invece, dagli Emirati Arabi, che hanno da sempre dato man forte, fornendo anche il sostegno dei consiglieri militari sul posto, appoggiando l’avanzata di Haftar. A completare l’alleanza araba anti Serraj e’ l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, da cui domenica Haftar e’ volato per ottenere il pieno consenso alla sua operazione. Sul fronte internazionale, principale sponsor – mai ufficialmente – e’ Parigi che ha sempre ritenuto il maresciallo una garanzia per i propri interessi sul campo. Washington, che per due decenni ha offerto asilo all’ex capo di stato maggiore di Gheddafi, preferisce mantenere le distanze per evitare eccessivo protagonismo nell’area. Cosi’ come la Russia che, dopo aver sostenuto Haftar, in pubblico parla di equidistanza tra le parti.

Serraj puo’ godere invece del sostegno, diplomatico, dell’Onu e dell’Italia. Sul piano militare i suoi principali alleati sono Turchia e Qatar. Non e’ un caso che ieri a Roma il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbia ospitato il vice premier libico, Ahmed Maitig, e il vice premier del Qatar, Mohammed Al-Thani. Quello di Maitig e’ un ruolo chiave nella battaglia non tanto perche’ vice premier quanto perche’  principale esponente di Misurata, i cui 15 mila combattenti da sempre proteggono la capitale. Al loro fianco, altri combattenti – sono 300 le milizie attive nel Paese – delle forze di Zintan, la Rada Special Force, e la brigata Nawasi.

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