L’Afghanistan vive una situazione complessa e instabile dalla quale può venire fuori con un impegno lungo le tre direttive della sicurezza, governance e sviluppo economico e sociale. E’ questa una delle conclusioni a cui sono giunti i relatori della tavola rotonda, le “Lessons learned” dall’Afghanistan, organizzata dall’istituto affari internazionali in collaborazione con Finmeccanica e l’istituto di studi strategici Chatham house, svoltasi lo scorso 16 giugno a Roma presso Palazzo Rondinini.

La prima lezione, secondo il generale Biagio Abrate, capo di stato maggiore della Difesa, consiste nell’imparare “a riconoscere gli insorgenti, di cui i talebani sono solo una parte, che gode del sostegno della popolazione afghana, seppure forzato dalla mancanza di sviluppo e alternative. “Gli insorti – sottolinea Paul Cornish, direttore del programma ‘Sicurezza internazionale’ di Chatham house – non sono così popolari e solo il 13% della popolazione li sostiene”. Da qui, l’importanza di conquistare il consenso della popolazione, ricorda Abrate, dando “una concreta alternativa” che si traduce in “stato di diritto, erogazione di servizi sociali e sviluppo economico”.

Lo strumento militare, infatti, non e’ sufficiente, ha confermato il generale Vincenzo Camporini, consigliere della Farnesina per gli aspetti militari, secondo il quale “la comunità internazionale ha capito che i problemi di crisi non vengono risolti solo con la componente militare, che e’ un pre-requisito”, al quale bisogna affiancare sforzi sul piano civile.

Si tratta di un mix di strumenti, enunciati da Gabriele Checchia, inviato speciale della Farnesina per l’Afghanistan e il Pakistan, che al controterrorismo somma “lo state building e lo sviluppo”. Una ricetta che “sta mostrando di funzionare” e per questo bisogna “continuare a puntare su questo trittico”. La situazione, ha aggiunto, richiede “un ricorso intelligente al soft power, complementare all’uso dell’attività cinetica sul terreno”.

Dello stesso avviso, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, che ha sottolineato come si tratta di “un problema di sviluppo: se riusciremo a dare occupazione, sviluppo e liberazione dalle necessità quotidiane, l’Afghanistan avrà la capacità di difendere se stesso da coloro che lo vogliono riportare al medioevo”. In questo quadro, non bisogna dimenticare l’importanza della dimensione regionale.

La stabilizzazione dell’Afghanistan richiede infatti “la partecipazione dei Paesi confinanti, Pakistan e Iran”, ha ricordato Abrate, seguito da Checchia, che ha sottolineato come ci sia “un vicino ingombrante ma necessario, il Pakistan, e poi c’è anche l’Iran”. Quanto al ritiro fissato per la fine del 2014, è “un obiettivo tendenziale”, ha ribadito l’inviato speciale della Farnesina, a cui ha fatto eco Camporini, per il quale la transizione e’ un fenomeno che ha i suoi tempi e il suo sviluppo”. L’importante, ha concluso Checchia, è che “la comunità internazionale non ripeta l’errore commesso in passato dai sovietici, di lasciare il Paese al suo destino perché altri hanno riempito quel vuoto”.

 

Fonte: AGI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here